Corriere del Veneto Qualsiasi misura possa contribuire a limitare la circolazione del coronavirus è un aiuto per il Sistema sanitario, ma con personale insufficiente e soprattutto senza il senso di responsabilità individuale per il rispetto delle regole e del benessere collettivo dalla pandemia non si esce. È in estrema sintesi il pensiero sugli ultimi provvedimenti anti-Covid del governo espresso dai medici in prima linea, costretti ad affrontare la seconda ondata di contagi con otto mesi di superlavoro, rischi e stanchezza sulle spalle.
«In questa fase di grande preoccupazione generale tutto ciò che può evitare gli assembramenti è utile, ma non credo che il problema fossero le palestre e i ristoranti, ligi alle regole — riflette la dottoressa Astrid Behr, presidente di Siaarti (sigla di anestesisti e rianimatori) per il Triveneto —. Gli effetti delle ultime misure li vedremo tra quindici giorni, capisco il tentativo di rallentare la curva del contagio. In Veneto siamo più attrezzati, però mancano anestesisti (148, secondo l’ultimo report regionale, ndr ) in grado di gestire l’aumento di letti in Terapia intensiva. Possiamo comprare tutti i ventilatori polmonari che vogliamo, ma se le risorse umane sono limitate si fa fatica. Anche perché — aggiunge Behr — a marzo eravamo molto più motivati, pensavamo che l’epidemia si sarebbe risolta, nessuno avrebbe mai immaginato di trovarsi di fronte a una seconda ondata così repentina e intensa. Siamo stremati e un po’ abbattuti, soprattutto perché non capiamo la mancanza di responsabilità da parte del singolo. Possibile che non si riesca a vedere al di là del proprio interesse, a rinunciare ad attività non indispensabili come feste di compleanno, cene, ritrovi? Se tutti ci fossimo messi una mano sulla coscienza, non ci ritroveremmo oggi in queste condizioni». «Un’informazione sbagliata quest’estate ha dato il liberi tutti responsabile del quadro odierno — aggiunge Massimiliano Dalsasso, presidente Aaroi (anestesisti) —. Al momento le Rianimazioni non sono in sofferenza, ma se dovessero aumentare i degenti Covid noi, pochi anestesisti, dovremmo raddoppiare l’assistenza a loro a scapito del lavoro in sala operatoria».
In linea Giovanni Leoni, chirurgo all’ospedale di Venezia e presidente dell’Ordine dei Medici: «È vero, aumentano i letti di Terapia intensiva ma il personale è rimasto lo stesso (per esempio in Veneto mancano 64 chirurghi generali, ndr ). Noi chirurghi siamo preoccupati per lo smaltimento degli interventi ordinari, ai quali si aggiungono quelli saltati in seguito al blocco dell’attività programmata nei tre mesi di lockdown. Abbiamo una bella lista d’attesa. Al momento posti in Rianimazione per il post-operatorio ce ne sono, ma sarà importante capire l’evoluzione dell’epidemia nelle prossime due settimane. Di fronte a un nuovo boom di pazienti Covid, sarà difficile mantenere letti di Terapia intensiva per gli altri degenti». Di fronte a un simile scenario è dura individuare in quale modo la chiusura dei locali alle 18, lo stop a palestre e centri benessere possa contribuire a mantenere liberi i famosi 200 letti di Rianimazione (sugli attuali 840, ampliabili a 1016) che la Regione intende riservare a malati non Covid. «Un segnale di inversione di tendenza andava dato — concede Leoni — non era più possibile assistere all’incremento dei contagi con una simile velocità, nel giro di poche settimane si sarebbero saturate le Terapie intensive. Lo considero un messaggio alla popolazione, dato che il grosso problema alla base dell’impennata di casi è il non rispetto delle regole dimostrato da una quota importante di cittadini tra 20 e 40 anni. La chiusura anticipata di bar e ristoranti potrebbe incidere proprio sulla vita sociale animata dalle fasce giovanili — chiude Leoni — con relativi assembramenti. Ma bisognerebbe incrementare ulteriormente lo smart working e la didattica a distanza, per svuotare i mezzi di trasporto locali, altra fonte di infezione».
«Meno occasioni di incontro ci sono e più si limita la circolazione del virus — conviene Giampiero Avruscio, direttore di Angiologia in Azienda ospedaliera a Padova e presidente Anpo (primari) — ma dal punto di vista medico devo preoccuparmi a 360 gradi delle ricadute dell’epidemia e di ciò che ne consegue sulle persone. Per esempio la chiusura delle palestre può indurre patologie legate alla sedentarietà, come disturbi cardiovascolari, problemi di metabolismo, obesità e depressione. Insomma, oltre agli infetti rischiamo di dover seguire tanti altri malati». Quali potrebbero essere i famosi «aiuti concreti»? «Incentivare economicamente e professionalmente il personale per evitare la fuga dagli ospedali in atto da anni — risponde Avruscio — e cercare di tenere sul territorio tutti coloro che possono essere seguiti da medici di famiglia e pediatri di libera scelta, per non ingolfare i Pronto Soccorso, soprattutto». E a proposito di medici di famiglia dice Cosimo Guerra, che opera nella Medicina di gruppo integrata di Maserà (Padova) e insieme a 12 colleghi segue 19mila assistiti: «Temo che l’ultimo decreto Conte non ci aiuterà molto, siamo oberati di lavoro e i nostri pazienti sono soprattutto anziani, quindi non al centro della vita sociale. L’unica soluzione efficace è l’aumento della percezione del rischio e quindi il rispetto delle regole».
«Il problema è la diffusione veloce del Covid-19 — avverte Riccardo Drigo, presidente di Aipo Veneto (pneumologi), che qui però parla «a titolo personale» — qualsiasi provvedimento possa rallentarla è utile. Siamo pronti ad affrontare la seconda ondata e rispetto a marzo, quando con le Terapie sub-intensive abbiamo evitato la saturazione delle Intensive, vantiamo più esperienza, cure e attrezzature, ma non ci sono abbastanza pneumologi (in Veneto ne mancano 20, ndr ), nonostante i concorsi banditi dalla Regione. E comunque senza il senso di responsabilità del cittadino non ne usciremo».