Repubblica. Si auguravano che, dopo il primo lockdown, a novembre ne «esplodesse» un altro. Perché coi soldi guadagnati durante la prima emergenza si erano comprati barche, orologi, gioielli, macchine e case. Era stata l’occasione di una vita per un giornalista in aspettativa che è stato consulente della Presidenza del Consiglio e di vari ministeri. Un uomo sprovvisto della laurea in giurisprudenza che ha messo nel curriculum ma con buoni agganci. E per un lobbista nel settore della difesa, alla guida di una società che in tre anni aveva incassato meno di due milioni di euro, e che in appena due mesi di milioni ne ha fatturati quasi 60. Il tutto condito con bonifici dall’estero, soldi nascosti, amanti e amici in Cina e, soprattutto, nell’ufficio del Commissario straordinario.
Ville, yacht e gioielli
L’inchiesta del nucleo speciale di polizia valutaria, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dai pm Fabrizio Tucci e Gennaro Varone, parte da una commessa per l’acquisto di 800 milioni di mascherine da tre consorzi cinesi, un affare da 1,25 miliardi di euro per il quale sono stati pagati 70 milioni di commissioni. Denaro che, complice anche la fuga di notizie sull’indagine, stava sparendo. Per questo i magistrati hanno deciso il sequestro d’urgenza di immobili, barche e gioielli. Chi indaga non ha dubbi che il convitato di pietra sia proprio il Commissario straordinario per il quale, però, è stata chiesta l’archiviazione.
Il passepartout Domenico
Per i pm alla base di quelle mega provvigioni c’è il «rapporto personale » tra il giornalista Mario Benotti e Domenico Arcuri, un vero e proprio «passepartout», sottolineano. In 5 mesi, tra gennaio e maggio, sono stati trovati 1.282 contatti telefonici tra i due: a febbraio, marzo e aprile si sentivano quotidianamente. «L’accesso preferenziale al gradimento di un funzionario pubblico — scrivono i magistrati — vulnera la sua imparzialità» e per questo «la retribuzione del credito personale speso dal mediatore verso il pubblico ufficiale si connota di illecito; poiché tale retribuzione compra un privilegio di accesso, superando il filtro delle pari opportunità ». Il Commissario e la sua struttura si dicono parte lesa e anche i pm hanno precisato che «allo stato non vi è prova che gli atti della struttura commissariale siano stati compiuti dietro elargizione di corrispettivo ».
Benotti ieri ha rilanciato dicendo di avere agito su «esplicita e reiterata richiesta del Commissario». Certo è che quando Arcuri a maggio ha smesso di rispondere, il suo amico ha capito che il gioco era finito. Ha cercato di ricontattarlo tramite i suoi collaboratori, ha temuto che quel silenzio fosse dovuto a «qualcosa che sta per pioverci addosso». Anche a settembre scorso uno degli indagati ha cercato Arcuri per vendergli guanti e tamponi fai da te. Ma il Commissario si è sempre sottratto.
Il patto lucroso
Il rapporto tra Benotti e Arcuri, però, ha garantito al gruppo un vantaggio competitivo. Addirittura, come precisa il decreto di sequestro, i contatti tra le parti sono antecedenti al 10 marzo «e dunque ben prima del lockdown nazionale, dichiarato il 9 marzo 2020». Questo «dà l’idea dell’informalità con la quale si è proceduto… In quel momento nessun norma consentiva ancora deroghe al codice dei contratti». Tant’è che la prima stipula è datata 25 marzo, quando «la struttura commissariale ancora non esisteva, almeno ufficialmente», ma gli affari già si stavano facendo. «Si delinea così — scrivono i pm — la nascita di un lucroso patto (occulto) con una pubblica amministrazione; un comitato d’affari, nel quale ognuno dei partecipi ha messo a servizio del buon esito della complessa trattativa la propria specifica competenza, ricevendone tutti un lato compenso per l’opera di mediazione compiuta».
Un lavoro senza valigetta
I pagamenti passano tutti dalla Cina. Sono i fornitori orientali a pagare Benotti, Andrea Vincenzo Tommasi e gli altri 6 indagati. «In almeno due occasioni — si legge — nelle conversazioni captate appaiono riferimenti ad accordi spartitori con soggetti estranei al suddetto comitato di affari; in particolare a qualcuno che attende di ricevere denaro in una “valigetta”, con disappunto di Benotti, il quale afferma: “è un lavoro che si fa senza valigetta”».