«Terremotate» dagli arresti di Fiorito nel Lazio e dell’assessore Zambetti in Lombardia, le Regioni ieri hanno mandato al governo un messaggio molto chiaro: ok incondizionato al taglio dei costi della politica, no assoluto invece allo «scippo» dei poteri dopo la modifica del titolo V della Costituzione decisa dal consiglio dei ministri.
La riforma, che ha inteso ribadire la supremazia dell’unità giuridica ed economica della Repubblica sugli statuti e ordinamenti regionali, è stata bocciata dai governatori che ieri a Roma hanno votato un documento in cui chiedono a Monti di aprire un «tavolo negoziale» per bloccare lo scippo delle competenze attribuite nel 2001 dal governo D’Alema agli enti locali. Fu, quello, l’avvio del federalismo fiscale, una «rivoluzione» coniugata più che all’insegna dell’autogoverno dei popoli, con la raffica di addizionali Irpef sugli stipendi applicate da comuni e regioni alla ricerca di risorse per far fronte ai tagli del governo. Ieri, a guidare la rivolta, è salito in cattedra il governatore veneto Luca Zaia, che con la consueta verve ha detto ciò che tutti pensano: «Se le Regioni non servono, e io non lo credo, si abbia il coraggio di chiuderle. Basta alle sceneggiate e ai provvedimenti che limitano i poteri, se la mia Regione è la più virtuosa in sanità, ci sarà un motivo. Se in Veneto spendo 1 euro per una siringa e altrove si arriva a 6-7 si dovrà intervenire per porre fine agli sprechi. Ecco, in attesa dei costi standard, io sono d’accordo nel commissariare i presidenti che non marciano nella direzione giusta. Ma il Paese è a due velocità anche nell’applicare le norme: la Grecia va in default e fallisce perché non ha il Nord, l’Italia non fallisce perché ha il Nord che lo salva». Più morbida la posizione di Vasco Errani, (Pd) presidente della conferenza delle Regioni: «Gli squilibri attuali sono dovuti alla mancata attuazione della riforma: del federalismo fiscale non si è vista traccia, nè della Camera o del Senato delle Autonomie. Ora chiediamo al governo di capire verso quale quadro le istituzioni stanno andando». Dopo aver approvato all’unanimità il documento, Errani ha preso di mira anche la legge sul patto di stabilità che ha tagliato 1,5 miliardi al fondo sanitario nazionale e 1 altro miliardo alle cinque regioni a statuto speciale. Poi il governatore dell’Emilia Romagna ha riconvocato per oggi la Conferenza delle regioni per dare battaglia. Un tour de force che dimostra l’estrema delicatezza dello scontro con Palazzo Chigi. Protestano tutti. Non solo Zaia e Cota, i due leghisti in guerra con Monti, ma anche il pacifico Dellai, «principe» di Trento alle prese con i tagli; protesta Stefano Caldoro che guida la Campania. Da Venezia leva la sua voce anche Gustavo F ranchetto, consigliere dell’Idv, che si erge a paladino dell’autonomia: «La modifica del titolo V riapre il conflitto tra lo Stato centrale e gli Enti locali. Non va per nulla bene, in un momento così difficile per il Paese». E un attimo dopo Pipitone, Marotta e Franchetto si dicono «molto amareggiati ed increduli per lo scandalo che ha coinvolto Mariuccio, il consigliere regionale del Lazio espulso dall’Idv, accusato di aver distratto fondi per 700 mila euro». A Roma, ieri c’era anche Clodovaldo Ruffato: «La retromarcia del governo sul titolo V della Costituzione è un segnale molto grave, che ci porta indietro di trent’anni. Il governo ha imboccato una strada sbagliata e per questo abbiamo chiesto un incontro urgente», afferma il presidente del consiglio regionale del Veneto. «Ieri dovevano discutere anche dei tagli alle indennità di presidenti, assessori e consiglieri, ma il decreto varato giovedì scorso dal consiglio dei ministri non ci è mai stato consegnato ed è stato riscritto dopo i rilievi del presidente Napolitano che in serata l’ha firmato. Entro il 30 ottobre dobbiamo chiudere la partita sui tagli dei costi della politica. Il Veneto, con orgoglio, ha ribadito di aver già ridotto da 60 a 51 i consiglieri, poi abbiamo già tagliato le indennità e fissato regole che assicurano la massima trasparenza. Nel giro di una settimana, troveremo l’ accordo per definire l’indennità di carica dei consiglieri regionali: vogliamo che sia unica in tutt’Italia. Anche se temo che alcuni privilegi non saranno eliminati: parlo della Sicilia e delle altre regioni a statuto speciale, che vanno abolite».
Il Mattino di Padova – 11 ottobre 2012