Una lunga sequela di errori, sottovalutazioni, ingenuità, dimenticanze. Fu la regione più colpita dal Covid-19 durante la prima ondata, resta tale anche nella seconda. Superata nei giorni scorsi la cifra tonda dei 20 mila morti in Lombardia dall’inizio della pandemia, rimane la grande domanda: premesse le condizioni iniziali del contagio, quante di queste persone oggi potevano essere ancora in vita se le scelte nella gestione del sistema sanitario regionale fossero state diverse? «In Lombardia sono mancati il senno di prima ed il senno di poi», racconta amaro Luca Fusco, agguerrito portavoce del comitato “Noi Denunceremo” di Bergamo. Ovvero? «Il senno di prima quando bisognava aggiornare i piani pandemici regionali, fare gli stock di tamponi, reagenti e dispositivi di protezione individuale, elaborare un piano di potenziamento delle terapie intensive. Quello di poi quando si trattava di fare una analisi accurata di ciò che non ha funzionato nella prima ondata per evitare di ripetere gli stessi errori».
Non è andata così, ieri è stato raggiunto il nuovo record di 949 posti occupati in terapia intensiva. «La sanità territoriale è depotenziata, medici e infermieri fanno turni da pazzi, gli ospedali sono presi d’assalto. Gente seria si sarebbe fatta da parte da mesi», chiosa Fusco. I positivi tracciati sono ormai 164 mila e persino il New York Times indica nella privatizzazione selvaggia della sanità la causa dell’ecatombe in una delle regioni più ricche d’Europa, oltre che d’Italia.
Il tracciamento saltato
La gravità della situazione è inequivocabile già ai primi di novembre. Di fronte alla crescita esponenziale dei nuovi positivi, Ats Milano, città epicentro dello tsunami, invita i medici di famiglia a non inserire più nel portale dell’azienda le richieste di tampone di chi ha avuto un “contatto diretto” con un positivo. A chi si trova in questa situazione la raccomandazione deve essere semplicemente quella di stare in casa per 14 giorni in isolamento fiduciario e, in assenza di sintomi, poi considerarsi libere dal virus. Sono anche i giorni drammatici in cui, col portale sommerso da 10-15 mila richieste di tampone al giorno, il direttore sanitario di Ats Milano, Vittorio Demicheli, è costretto ad ammettere che il sistema di tracciamento dei positivi nel territorio metropolitano «è saltato». Con oltre 3 mila nuovi contagiati al giorno è impossibile seguire tutto. Le squadre dei “tracciatori” lavorano febbrilmente, ma non basta. «Abbiamo raddoppiato il numero di inchieste giornaliere per individuare chi deve essere messo in isolamento e triplicato gli addetti dedicati. Ma di fronte all’impennata di casi rischiamo comunque di non farcela», ammette a metà novembre il dg dell’Ats, Walter Bergamaschi.
La Brianza come Codogno
Nel resto della regione non va meglio. Dopo Bergamo, Brescia e Lodi nella prima ondata, adesso sono le province di Monza, della Brianza, di Como e soprattutto di Varese a soffrire di più. Il San Gerardo di Monza a metà di novembre alza bandiera bianca, con punte di 485 ricoveri al giorni nei reparti Covid, di cui circa il 10 per cento in terapia intensiva. «Ora Codogno siamo noi»: si esprime così il direttore sanitario Mario Alparone, con 340 fra medici e infermieri positivi e a casa in isolamento.
Il pasticcio dei vaccini
Si fa fatica a fare i tamponi, viene coinvolto anche l’esercito per gestire il più grande drive through d’Italia proprio a Milano, ma non solo: non ci sono abbastanza vaccini anti- influenzali perché la Regione non li ordina in tempo. Su 3,5 milioni di dose necessarie per coprire i più fragili (anziani e bambini), ne vengono acquistate a prezzi mirabolanti 2,22 milioni. Uno su tre resterà fuori insomma. Contro l’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera protestano i medici di base – a proposito: ne mancano 200 solo a Milano – che devono far fronte alla rivolta dei loro pazienti che vorrebbero vaccinarsi e non trovano risposte. In questi giorni è in atto una campagna di mail bombing diretta contro Gallera e il presidente Attilio Fontana. Il presidente dell’Ordine dei medici Roberto Carlo Rossi è nero: «La Regione ha fallito completamente, ha perso tutta l’estate senza mettere in atto nulla di quel che serviva per evitare questo disastro. E poi chiedono a noi di fare i tamponi ai pazienti? Ma Fontana è mai stato in uno dei nostri studi? Lo sa che curiamo fino a 1.500 cittadini a testa lavorando fino a sera tardi? Ha presente la mole di chiamate che comporta il Covid in questo periodo?».
Un favore ai privati
Se la sanità pubblica boccheggia, il privato non sembra avere gli stessi problemi. Anzi, l’occasione è buona per ottimi guadagni offrendo dietro compenso ciò che dovrebbe essere un diritto per i cittadini. Al San Raffaele, ad esempio: bastano 90 euro per un consulto telefonico, 450 per l’assistenza a domicilio dei positivi. D’altronde, se nel pubblico anche solo mettersi in contatto telefonico è un problema, cos’altro fare? Ma vale anche per i vaccini contro l’influenza: bastano 60 euro e con Multimedica ciò che è introvabile nel pubblico diventa accessibile nel privato. Perché anche la pandemia non è uguale per tutti.