di Donatella Lippi. Parigi, 15 ottobre 1978: nella sede dell’Unesco viene proclamata la Dichiarazione universale dei diritti dell’animale, un provvedimento rivoluzionario che, anche se privo di valore sul piano giuridico-legislativo, aveva un fortissimo significato simbolico, rappresentando una dichiarazione di intenti e un’assunzione di responsabilità ineludibile da parte dell’uomo nei confronti degli animali.
Animali, esseri complessi che vivono del vivente. Non hanno la serena immobilità della pianta, né la sua leggera autosufficienza. La qualità più profonda dell’animale, ma anche la più visibile e la più affratellante: il respiro. L’immagine della vita che si anima col soffio primo: l’animale è chi condivide questo respiro con coscienza via via maggiore – fratelli di grado in grado più responsabili, da quando, nel Giardino dell’Eden, una mitica uguaglianza univa uomini ed animali.
Ma nel gioco delle teorie di congiunzione e di separazione, il mito dei “sei giorni” della creazione sembra aver reso l’uomo signore delle altre creature.
La storia e la scienza ci dicono che l’uomo, debole, privo di risorse fisiche e biologiche adeguate alla sopravvivenza, senza un habitat in cui potesse vivere, avvertendo la propria differenza rispetto agli altri animali, adattati all’ambiente grazie alle loro caratteristiche fisiche e all’istinto, ha ammirato in loro le doti di cui egli era privo e li ha venerati: «L’importanza degli animali per l’uomo, specialmente ai primordi della civiltà, giustifica pienamente la venerazione religiosa di cui sono fatti oggetto. Gli animali sono stati per l’uomo esseri indispensabili, necessari; da loro dipendeva la sua esistenza umana». (L. Feuerbach)
Allo stesso modo, si sono disegnati i rapporti privilegiati tra animali e santi: Gesù, nel contesto agricolo-pastorale di Roma antica, è il Buon Pastore, che porta l’agnello in spalla. E noi il Suo gregge.
San Rocco e il cane, sant’Antonio abate e il porcellino, san Girolamo e il leone, sant’Agnese e l’agnellino, sant’Ambrogio e le api, san Gerardo e i muli, Tobia che parte per un lungo viaggio, accompagnato da un angelo e dal suo cane… la forza di queste figurazioni trasmette un messaggio profondo: la comunione perfetta tra l’uomo e il creato o, almeno, il rimpianto dell’Eden sono tratti sostanziali della santità.
Animali protagonisti di favole e fiabe, di enciclopedie zoologiche, trattati sulla caccia e sulla falconeria, opere di mascalcia, di zootecnia, di equitazione: in questo multiforme ventaglio di presenze e di legami con il quotidiano e con l’immaginario dell’uomo, si sono caricati di un valore simbolico, educativo. Sono diventati exempla.
All’interno dei “bestiari”, in cui gli animali vengono descritti nella loro fisicità e nei loro comportamenti, sia nei confronti degli altri animali, sia nei confronti degli uomini, attraverso il gioco sapiente delle analogie, diventano portatori di insegnamenti morali e religiosi.
L’animale è, ancora, lo specchio dei difetti e delle virtù dell’uomo, ma anche riflesso della sua fisicità, delle sue caratteristiche corporee.
Sul corpo degli animali, è stata scritta la medicina per gli uomini: da Galeno, nel II sec. d. C., a Claude Bernard, nella metà del XIX secolo, fino alla testimonianza di Malaparte e al dibattito contemporaneo, l’uomo ha usato gli animali per salvare se stesso.
E l’attenzione che l’uomo ha riservato nei confronti della loro salute è sempre stata legata al loro ruolo come cibo, come fonte di sostentamento: la medicina per gli animali doveva, in loro, salvaguardare un bene.
Negli anni in cui si scoprivano nuove categorie di cittadini -le donne, i bambini-, l’Illuminismo riportava la riflessione sul “vitto pitagorico”, anche nel rispetto di altri esseri viventi.
Ma è di anni recenti la pubblicazione di veri e propri libri-denuncia, che hanno cambiato il comportamento nei confronti degli animali, tanto che, oggi, anche l’etica cristiana guarda all’animale in maniera diversa, spogliandosi, Papa Francesco, del mantello di ermellino.
Compagni di vita, interlocutori silenziosi, inconsapevoli terapeuti, gli animali si vestono di panni nuovi.
Gli animali sono esseri senzienti e il loro dolore non è un dolore senza memoria.
«Oggi sappiamo per certo, ma lo abbiamo istintivamente sempre saputo, che gli animali possono soffrire esattamente come gli esseri umani. Le loro emozioni e la loro sensibilità sono spesso più forti di quelle umane. Diversi filosofi e capi religiosi hanno cercato di convincere i loro discepoli e seguaci che gli animali non sono altro che macchine senz’anima, senza sentimenti. Chiunque però abbia vissuto con un animale – sia esso un cane, un uccello o persino un topo – sa che questa teoria è una sfacciata menzogna, inventata per giustificare la crudeltà» (I. B. Singer).
IL Sole 24 Ore sanità – 10 ottobre 2016