I 500 milioni di euro di risparmi dal 2014 in poi sulle retribuzioni dei dirigenti pubblici sono una delle voci del piano di Carlo Cottarelli che il governo non ha messo in discussione. Ma nel mirino non ci sono solo stipendi che, secondo il rapporto del commissario per la revisione della spesa pubblica, sono molto più alti di quelli dei dirigenti inglesi, tedeschi e francesi (in media dal 12,7% per i dirigenti di seconda fascia al 105% per quelli di prima fascia rapportandoli al reddito pro capite dei Paesi considerati).
Nella riforma della Pubblica amministrazione che il governo presenterà ad aprile si dovrebbe sancire la riduzione dei dirigenti, la rotazione degli incarichi, la revisione di alcuni contratti a tempo indeterminato, per esempio quelli dei professori ordinari delle scuole superiori di formazione degli stessi dirigenti, dove alti burocrati percepiscono compensi annui in alcuni casi superiori a 300 mila euro lordi.
I dirigenti pubblici in Italia, circa 280 mila, sono troppi: uno ogni 11,5 dipendenti (erano uno ogni 12,3 nel 2003) mentre sono uno ogni 33 in Francia. E guadagnano molto: quelli di prima fascia toccano i 259 mila euro nelle agenzie fiscali, nove volte di più della retribuzione media dei dipendenti. Ma soprattutto la riforma dovrà trovare finalmente il sistema di legare la retribuzione ai risultati. Ci ha provato nel 2009 l’allora ministro Renato Brunetta, ma evidentemente le resistenze della palude burocratica hanno avuto la meglio se «la quasi totalità (dei dirigenti di prima e seconda fascia, ndr.) ha conseguito una valutazione non inferiore al 90% del livello massimo atteso (ad eccezione degli Enti previdenziali)» e quindi il premio pieno che costituisce la parte variabile della retribuzione, circa il 30%. Tutti bravissimi e tutti col massimo dello stipendio ottenibile. Alla faccia della meritocrazia.
Che sia andata così lo spiega lungo un centinaio di pagine ricche di tabelle la «Relazione sulla performance delle amministrazioni centrali 2012» stilata dall’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche. Innanzitutto non ha funzionato il sistema di «valutazione della performance organizzativa». La relazione lo sottolinea con toni al limite dell’ironia: «Gli straordinari risultati positivi nel conseguimento della gran parte degli obiettivi strategici, rendicontati da parte di tutte le amministrazioni, appaiono irrealistici ed in contrasto con la percezione dei cittadini sull’efficacia dell’azione delle amministrazioni centrali». L’84% ha infatti dichiarato di aver raggiunto gli obiettivi (contenimento della spesa, digitalizzazione, qualità dei servizi, organizzazione, trasparenza) fissati per il 2012 in una percentuale superiore al 90%. Peccato che i cittadini non se ne siano accorti. Molti ministeri si collocano al 100% (Esteri, Ambiente, Interni, Istruzione, Lavoro, Agricoltura, Sanità). La stessa cosa fanno enti come Istat, Aci, Enit. Non parliamo poi della «valutazione della performance individuale». Nella relazione, dopo aver spiegato appunto che tutti i dirigenti si trovano vicini al livello massimo di punteggio, si conclude che «l’aspetto cruciale da affrontare è quello della differenziazione della valutazione» perché «la difficoltà che la gran parte delle amministrazioni manifestano nel dare attuazione al percorso che lega performance individuale e premialità costituisce un vulnus significativo della riforma». Generalmente disattese, si continua, sono rimaste anche le norme sulla pubblicazione dei dati sulle performance (tempi e qualità di erogazione dei servizi) e sulle modalità delle valutazioni individuali. Per queste ultime sono metà delle amministrazioni ha fornito all’Autorità i dati sul collegamento tra valutazione e premialità. I dirigenti di prima fascia dei ministeri e degli enti di ricerca si collocano tutti a un livello di conseguimento degli obiettivi superiore al 90%. Solo negli enti previdenziali c’è più articolazione: l’89% dei dirigenti ha un punteggio nella fascia tra il 60 e il 90% di conseguimento degli obiettivi e il restante 11% nella fascia top. Un andamento analogo si riscontra anche per i dirigenti di seconda fascia. I premi seguono. Un andazzo che il governo Renzi vorrebbe interrompere.
Enrico Marro – Corriere della Sera – 24 marzo 2014