Sono 711, molto diversi per dimensioni e attività: a Bolzano ce ne sono 20 e si occupano di circa 25mila abitanti ciascuno, in Veneto 59, mentre in Lombardia sono 81
Ma il problema più grosso è capire se funzionano, o se sono solo una realtà “di carta”. Presentata a Roma la seconda Indagine nazionale sui distretti sanitari realizzata dall’Agenas.
Un volume poderoso, di quasi 300 pagine, per descrivere La rete dei distretti sanitari in Italia. È questo lo sforzo realizzato da Agenas con la pubblicazione di un numero monografico della rivista Quaderni di Monitor, presentato oggi in un Convegno a Roma. Obiettivo: fare il punto su una delle realtà più sfuggenti del nostro sistema sanitario, che però dovrebbe avere un ruolo chiave nello sviluppo del sistema delle cure e dell’assistenza a livello territoriale e nell’integrazione socio-sanitaria. Insomma i Distretti dovrebbero essere la chiave di volta del cambiamento, più volte annunciato, del sistema sanitario italiano in direzione non più ospedalocentrica. E proprio in questo senso il recente Psn 2011-2013 indica come “Il coordinamento e l’integrazione di tutte le attività sanitarie e socio-sanitarie a livello territoriale vengono garantiti dal Distretto al quale sono altresì affidati i compiti di ricercare, promuovere e realizzare opportune sinergie tra tutti i sistemi di offerta territoriale e di fungere da strumento di coordinamento per il sistema delle cure primarie (mmg e altre professionalità convenzionate)”.
Ma la realtà dei Distretti è tutt’altro che omogenea, frutto di una vicenda legislativa complessa e delle diverse esperienze intraprese a livello regionale. Proprio per questo, il volume di Agenas si rivela prezioso.
Elemento centrale del volume è, infatti, l’Indagine sullo stato di attuazione sui distretti in Italia – 2010, coordinata dalla stessa Agenas con il contributo di molti tecnici del Ministero della Salute e delle Regioni, cui fanno poi da corredo i saggi di alcuni importanti esperti del settore e gli interventi di tutte le realtà regionali.
Come sono cambiati i Distretti
L’Indagine 2010 fa seguito ad un’analoga ricerca, sempre siglata Agenas, condotta nel 2005-2006. Questo consente di fare raffronti, ricavando diversi spunti interessanti, a cominciare dalla reattività alla stessa indagine: nel 2006 il tasso di risposta era stato soltanto del 79%, mentre questa volta ha sfiorato il totale, con il 96% di risposte da parte degli stessi Distretti.
Altro elemento interessante è la diminuzione, negli anni, del loro numero: erano 945 nel 1999, mentre oggi sono 711; conseguentemente se nel 2006 avevano in media 45.000 abitanti come popolazione di riferimento, oggi ne hanno invece, sempre in media, 85.000 (v. tabella a fondo pagina). Un dato che Elio Guzzanti, cui sono affidate le Considerazioni finali sulla ricerca, giudica positivamente come indicazione di una tendenza a concentrare i servizi e snellire l’organizzazione.
Si rafforza, allo stesso tempo, il ruolo del Direttore di Distretto. Mentre in passato era incarico spesso attribuito a dirigenti “semplici”, oggi sono quasi tutti (94,2%) responsabili di struttura complessa e nel 23,5% dei casi ricevono una indennità dipartimentale. Malgrado la “vocazione” verso le Cure Primarie, però, solonel 3% dei casi il Direttore di Distretto è un medico di medicina generale. Quasi ex equo la modalità di reclutamento: il 46,3% di essi ha avuto l’incarico per nomina fiduciaria, mentre il 43% l’ha ottenuta per concorso.
Le attività del Distretto
Stando all’indagine, ben il 97,5% dei Distretti utilizza strumenti di programmazione delle attività. Un dato positivo, sottolineano i ricercatori, ma non univoco visto che nell’area Sud e Isole il 6% dichiara invece di non avere nessuno strumento di programmazione.
Riguardo alle risorse economiche a disposizione, l’85,2% dei Distretti negozia con la Direzione Generale della Asl gli obiettivi specifici da conseguireannualmente, più frequentemente al Nord e al Centro (95%), più raramente al Sud e Isole (66,9%). Molto più raramente si realizza invece una “autonomia di budget” del Distretto: questa condizione si realizza nel 66,6% dei casi a livello nazionale, ma nel Sud e Isole prevale la “mancata negoziazione” (54,5%).
Molto diversificata per aree geografiche la partecipazione dei cittadini alla definizione ed al controllo delle attività: a livello nazionale ciò avviene nel 44,5% dei Distretti, ma si va dal 59,6% al Nord Est, al 62,8% al Centro, al 53,1% al Nord Ovest fino al 23,8% dei Distretti del Sud e Isole. La partecipazione dei cittadini avviene prevalentemente attraverso incontri con le associazioni, mentre più raramente si dà vita a gruppi di lavoro su specifiche tematiche (36,4%).
Passando ai servizi veri e propri, l’indagine mostra come il Punto Unico di Accesso (Pua, lo sportello dal quale accedere ai servizi territoriali, in particolare Adi e Rsa) sia presente nella maggior parte dei Distretti (84,2%), con percentuali più elevate al Nord Ovest (92,9%), seguito dal Nord Est (87,2%), dal Centro (83,5%) e infine dal Sud e Isole (78,5%). Diverse però le funzioni attribuite al Pua: punto informativo e di orientamento nel 66,7% dei Distretti (dall’80,6% al Nord Ovest al 58,5% al Sud e Isole), punto d’accesso ai servizi, con convocazione dell’Unità di Valutazione Distrettuale (Uvd) per bisogni complessi nel 67,5% (dal 79,2% al Centro al 62,6% al Nord Est), sportello per gli aspetti amministrativi nel 40% dei Distretti (dal 58,2% al Nord Ovest al 23,8% al Centro), ma solo nel 34,9% dei casi in grado di garantire lo svolgimento dell’intero processo organizzativo di presa in carico (dal 39,6% al Sud e Isole al 29,1% al Nord Ovest). Percentuali variabili, ma che comunque sembrano indicare un punto di partenza importante. Almeno stando ai questionari compilati dai Distretti.
I dati su Adi e Rsa
Tra i compiti dei Distretti c’è quello di regolare l’accesso all’assistenza domiciliare integrata. Secondo i questionari raccolti nell’Indagine, “l’erogazione dell’Assistenza domiciliare integrata (Adi) a seguito di Valutazione Multidimensionale (Vmd)” avviene nella gran parte dei Distretti in forma diretta, ovvero con personale dipendente (63%), in quota minore si utilizza la forma indiretta, o esternalizzata (26,5%), mentre il restante 10,5% dei Distretti ricorre ai voucher sociosanitari. La modalità diretta prevale soprattutto nel Nord Est (95%) e nel Centro (71,6%). L’erogazione tramite voucher sociosanitari è invece molto usata nel Nord Ovest (47,1%).
Il governo dell’accesso alle strutture residenziali, altro compito in capo alle strutture distrettuali, avviene nel 64,7% dei Distretti attraverso “modalità esplicite e liste di attesa”, come è scritto nell’Indagine. Le liste d’attesa sono più usate al Centro (86,8%), seguito dal Nord Est (73,8%), dal Sud e Isole (66,9%), mentre nel Nord Ovest i valori sono più bassi (32,9%).
Non troppo utilizzato il metodo della verifica. Per l’Adi il Distretto “verifica la congruenza degli accessi” in media nel 65,8% dei casi, con variabilità tra le aree (da 71,9% al Nord Est a 62,1% al Sud e Isole); il 59,8% dei Distretti “verifica il raggiungimento degli obiettivi formalizzati dal Piano di Assistenza Individuale (PAI)”, con differenze tra le ripartizioni geografiche (da 68,4% al Nord Ovest a 52,1% al Sud e Isole). Solo il 14%, infine, “verifica le modificazioni nella casistica attraverso parametri di monitoraggio”, con percentuali più alte al Nord Est (20,3%) e più basse al Sud e Isole (9,2%).
Quotidianosanita.it – 30 marzo 2011