Il “D-Day” è il 15 settembre 2017. Quel giorno i parlamentari al primo incarico della XVII legislatura avranno raggiunto il traguardo dei 4 anni, 6 mesi e 1 giorno. Ossia il periodo minimo di servizio necessario per maturare il diritto alla pensione, secondo la riforma dei vitalizi approvata dal governo Monti nel 2012, che si basa sul sistema di calcolo contributivo. Deputati e senatori al primo mandato riceveranno dunque a 65 anni 950 euro di pensione. Mentre, se verranno rieletti per un’altra legislatura, l’assegno sarà di 1500 euro a 60 anni.
È passato solo poco più di un mese e mezzo da quell’sms al programma di Giovanni Floris in cui l’ex segretario del Pd Matteo Renzi si augurava di andare “al voto prima che scattino i vitalizi”, scatenando la rivolta fra i parlamentari dem, renziani compresi. Ma poi l’ipotesi di elezioni anticipate è stata archiviata e quindi la meta del 15 settembre è ormai sicura. Una buona notizia per il folto plotone dei neoeletti, che altrimenti avrebbero perso tutti i contributi versati. Quello uscito dalle elezioni del febbraio 2013, infatti, è un Parlamento di novizi. Facciamo i conti: alla Camera su 630 deputati complessivi, ben 438 sono al primo mandato. A Palazzo Madama su 320 senatori 191 sono neoeletti. Sommando le due camere, otteniamo la cifra di 629 novellini su 950 parlamentari, i due terzi del totale.
Il partito che ha più parlamentari al primo incarico è, ovviamente, quello di maggioranza: il Pd ha 198 deputati novelli su 284 e 66 senatori su 99, per un totale di 264 parlamentari. Per tutti i grillini (91 alla Camera e 35 al Senato) è la prima volta. Viceversa nei partiti di centrodestra ci sono più “veterani”: in Forza Italia i neodeputati sono solo 12 su 50, i senatori “primini” 14 su 43. Gli alfaniani di Ap alla prima esperienza sono 11 su 26 alla Camera, 13 su 27 al Senato. Mentre i verdiniani neoeletti sono circa la metà: 7 su 16 a Montecitorio e 8 su 16 a Palazzo Madama. Tutti al primo mandato, invece, i 17 deputati rimasti in Sinistra italiana. Piuttosto “nuovi” i gruppi Misti, che hanno accolto diversi fuoriusciti cinquestelle.
Intanto, mercoledì scorso, l’Ufficio di presidenza della Camera ha rinnovato il contributo di solidarietà sui vitalizi degli ex deputati maturati prima del 2012, aumentando i tagli agli assegni più pesanti. Qualcuno tra i renziani non nasconde che si poteva fare di più: “Comunicativamente parlando si rischia di prestare il fianco al M5S”, dice ad esempio Anna Ascani, già critica nei confronti del citato sms di Renzi. I Cinquestelle sostengono infatti l’abolizione definitiva dell’assegno a vita. La palla passa ora al Senato, dove quasi sicuramente sarà approvata una delibera identica a quella di Montecitorio. L’ufficio di presidenza del Senato, però,
è un organo monco: mancano infatti tre segretari d’aula che verranno nominati mercoledì. E poi si deciderà quando convocare una riunione ad hoc sul tema vitalizi.
Contro la sforbiciata agli assegni protestano invece gli ex onorevoli, pronti a fare ricorso.
Repubblica – 26 marzo 2017