Ci sono almeno 5 buoni motivi per dire di no agli Ogm in agricoltura: l’identita’ delle coltivazioni italiane, la salute del consumatore, la volonta’, attraverso gli Ogm, di declassare la produzione del nostro paese, la storia che mostra che nessun produttore ha guadagnato di piu’ con semi geneticamente modificati e la volonta’ degli agricoltori italiani di non consegnare alle multinazionali la propria terra.
Sono questi i motivi che il presidente del Veneto ed ex ministro dell’Agricoltura Luca Zaia oppone alla posizione favorevole presa dal ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, intervistato oggi dal Corriere della Sera sul tema. “Ci sono almeno cinque buoni motivi per continuare a dir di no agli Ogm in agricoltura: una forte identita’, che caratterizza la nostra agricoltura tra le prime nel mondo; la salute del consumatore; la volonta’, attraverso gli Ogm, di declassare la produzione agricola italiana; la storia degli Ogm che, nel mondo, dimostra che nessun produttore ha mai guadagnato di piu’ usando semi geneticamente modificati; la forte volonta’ della stragrande maggioranza dei produttori italiani di non consegnare alle multinazionali la proprieta’ della nostra terra”, chiosa Zaia. Per l’ex ministro, gli organismi geneticamente modificati “portano inevitabilmente a un’agricoltura monocolturale, come nel caso degli Stati Uniti: chilometri e chilometri di mais e soia per mangimi e carburanti”.
“Ma non e’ questa la nostra storia, fatta di migliaia di produzioni tipiche legate all’identita’ dei territori. E’ questo cio’ che ci distingue nel mondo. E’ questo valore aggiunto che dobbiamo difendere nella concorrenza internazionale”. “Senza contare – aggiunge – l’abisso tra biotecnologie e transgenesi. Le prime sono naturali e si sono sviluppate nel corso di millenni di agricoltura, e a esse si devono la salubrita’ e la tipicita’ dei nostri prodotti. In questo sia il settore pubblico, non ultima la Regione del Veneto, sia il settore privato investono da sempre. Con la transgenesi, invece, si incrociano e si impiantano geni tra specie e addirittura regni diversi, animale e vegetale. Su questo fronte, anche se la scienza ancora ne discute, ci sono stati diversi esperimenti che hanno dimostrato quanto possano essere pericolosi per la salute umana. Basti ricordare il caso della patata Amflora in Germania”. Per Zaia, dunque, “non e’ questa la soluzione”, ne’ nei paesia in via di sviluppo “dove bisognerebbe puntare su un’agricoltura radicata nel territorio, che porti alle popolazioni locali lavoro e sviluppo” ne’ in un paese come l’Italia “stretto e all’agricoltura frastagliata e per questo identitaria e territoriale”.
Agi – 16 marzo 2012