Da domani 8 novembre l’Aula della Camera inizia l’esame delle norme sull’attività di ristorazione in abitazione privata, i cosiddetti home restaurant, con la discussione sulle linee generali e l’esame del testo unificato delle proposte di legge: Disciplina dell’attività di ristorazione in abitazione privata (C. 3258-3337-3725-3807-A). Il Parlamento italiano cerca di regolamentare questa attività, pur tra opposti interessi e il dibattito che ha animato gli ultimi mesi tra Federalberghi, Fipe, piattaforme commerciali e comunità web.
L’oggetto della proposta è la disciplina dell’attività degli home restaurant o home food considerata come attività finalizzata alla somministrazione di alimenti e di bevande esercitata da persone fisiche all’interno delle proprie strutture abitative utilizzando i prodotti preparati nelle stesse strutture; inoltre la finalità della proposta è quella di valorizzare le peculiarità enogastronomiche italiane e diffondere le attività di home restaurant o home food.
I locali destinati alla “ristorazione in casa” dovrebbero avere i necessari requisiti igienico-sanitari e chi esercita dovrebbe avere l’attestato HACCP in materia di sicurezza alimentare. Le regole previste dal disegno di legge che verrà discusso da domani in Parlamento prevede obbligo di segnalare l’apertura con la cosiddetta Scia, un certificato di inizio attività, non più di otto aperture al mese fino a un massimo di ottanta l’anno, dieci coperti al massimo, spazio disponibile: due stanze per appartamento
Ma la materia e controversa e la strada in salita anche perché mentre in Italia si cerca una quadra alla situazione, la Commissione Ue ha chiesto che le attività di sharing economy “non siano ingabbiate in regolamentazioni troppo rigide prime che inizino a lavorare”
Attività ormai talmente diffuse da avere già diversi punti di riferimento, come Gnammo, una comunità dove sgomitano 1.055 cuochi capace di realizzare 500 eventi, e Home Restaurant Italia, l’associazione che tutela gli interessi dei nuovi ristoratori domestici.
Va da sé che i ristoratori tradizionali, pur non ancora sulle barricate come i tassisti con Uber, non siano contenti, per usare un eufemismo. Anzi, parlano apertamente di concorrenza sleale chiedendo di regolamentare il fenomeno.
Nel maggio 2015 una risoluzione del Ministero dello sviluppo economico sembrava accogliere le loro richieste. Secondo il parere ministeriale per i nuovi imprenditori degli home restaurant dovevano valere le stesse norme applicabili ai ristoratori.
7 novembre 2016