Carlo Spinelli. Non sono Nostradamus né un biotecnologo alimentare d’avanguardia, e se è vero che lavoro con il senso del gusto non posso certo dire di essere un giornalista di moda. Sostanzialmente io viaggio mangio e scrivo, in ordine sparso e in disordine geografico. Ed è grazie a queste mie tre caratteristiche che posso dire di aver visto — di più: di aver assaggiato — il cibo del futuro.
Come ho fatto a capire cosa mangeranno sempre più abitanti della Terra tra trenta o quarant’anni? Invece di entrare in qualche fantascientifico laboratorio di manzo hi-tech sono semplicemente andato a caccia di alimenti che già da qualche millennio si trovano sulle tavole di alcune popolazioni del pianeta. E poi mi sono fatto qualche piccolo calcolo: se oggi siamo circa sette miliardi, nel 2050 — prevedono i demografi — saremo nove. Nove miliardi di bocche da sfamare. Hamburger e patatine non basteranno più. O meglio, le patate potranno essere di più e sempre più varie perché davvero adattabili alle condizioni più impervie di coltivazione, ma la carne — su questo tutti gli esperti concordano — dovrà essere ridotta drasticamente. L’allevamento industriale è autolesionista nei confronti del pianeta: per nutrire bovini, suini e ovini in modo intensivo si sfrutta più del 75 per cento della superficie agricola mondiale e l’80 per cento dell’acqua dolce. Assurdo. Allora come muoversi?
Io mi sono messo in viaggio. Prima tappa la geofagia: per esempio il terrigno gelato all’argilla dello chef peruviano Virgilio Martinez, versione colta e raffinata di una tradizione — quella di mangiare la propria terra — antichissima presso alcuni popoli in Centrafrica, Africa orientale (in Kenya le donne incinta mangiano calce bianca per assumere sali minerali) e in Oceania (l’argilla umida “ dulong” presso alcune popolazioni aborigene australiane). Ma senza andare così lontano esiste anche il boschivo distillato di terra della campagna modenese di Massimo Bottura o la salmastra “zuppa” di sassi marini di Gennaro Esposito, chef della Penisola Sorrentina.
Seconda tappa, dalla terra all’aria: nell’attualissimo mondo dell’entomofagia (il nutrirsi d’insetti) sono piuttosto felice di aver assaggiato dall’apicultore urbano Mauro Veca l’incredibile borsa melaria dell’ape, vale a dire la sacca intestinale trasparente dove l’insetto più operoso del mondo deposita il nettare e lo trasforma in miele a contatto con le secrezioni salivari. Ciascuna ape, in questo zainetto a membrana, può contenere fino a due milligrammi di miele che danno vita a una spettacolare bomba di dolce gusto che esplode in bocca. In questo senso anche il balut, nelle Filippine, offre spunti hardcore d’assaggio primordiale: è un embrione d’anatra o di gallina fecondato, che dopo diciotto giorni di covata viene sottratto all’ignara femmina per essere bollito e servito. È come mangiare un uovo che sa di pollo e offre nutrimento quasi come una bistecca di ottimo manzo al costo di circa 20 centesimi di euro. Unica controindicazione: non è piacevole sentire lo scricchiolio delle cartilagini sotto la mandibola.
Terza tappa, il mare. Mai sentito parlare di lattume? I siciliani probabilmente sì, lì è meglio conosciuto come figatello lo sperma del tonno e della ricciola ormai ufficialmente ammesso nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani: gusto pescioso, intenso e glutammico, sembra un foie gras marino ma brandizzatoYouporn (e ringrazio vivamente lo chef marchigiano Moreno Cedroni per avermelo fatto conoscere).
Tornando con i piedi per terra, vediamo di andare a caccia di frutti. Il primo in assoluto è il “miracle fruit”, la bacca rossa africana Synsepalum dulcificum , documentata nel 1725 dal Chevalier des Marchais: un frutto davvero miracoloso perché trasforma il gusto in bocca, modificando l’amaro e l’aspro in dolce grazie alla glicoproteina miracolina che attua questo incantesimo organolettico tanto caro ai diabetici, visto che non viene metabolizzata con l’azione dell’insulina. Sarà il dolcificante del futuro? La “mano di Buddha” ( citrus sarcodactylus ) è` invece senz’altro l’agrume più strano del pianeta: sembra effettivamente una mano, ma forse anche una piccola piovra gialla con i suoi tentacoli, è il tipo di cedro più profumato che esista, molto particolare nella fragranza degli aromi nella marmellata, candito o come condimento nelle salse e nelle zuppe orientali. Se ne utilizza soltanto la scorza perché non c’è né polpa né succo. Il “limone caviale” (citrus australasica) ha invece un interno che assomiglia a una sorta di caviale vegetale. Ne esistono diversi secondo il colore della polpa: verde, rosa, rosso, bianco o giallo. I gourmet mettono un po’ di queste palline agrumate nello spumante, per fare scena o per rimarcare l’acidità di un vino.
E dagli agrumeti ai boschi. La forager Valeria Mosca mi ha preparato dei meravigliosi biscotti alla corteccia interna di betulla e nocciole per la festa di compleanno di mia figlia. Mentre lo chef trentino Peter Brunel un giorno, in Val di Fassa, mi ha staccato da un abete della resina essiccata: «Con questa resina prova a mantecare il risotto, vedrai che sorpresa!» E così fu: sapori nuovi e resinosi in un classico piatto all’italiana. Lo chef Carlo Cracco mi ha invece fatto assaggiare la sua famosa “Pasta e Mastica”, rigatoni al dente con una crema alla resina greca e funghi porcini crudi. Infine, nel ventaglio delle ipotesi, c’è posto anche per un po’ di cannibalismo. Niente di violento, ma mangiare la placenta dopo aver dato alla luce un bambino è già la nuova moda fra alcune vip americane. Lo confesso, ho tentato anch’io, ma aiutato da piccoli fondamentali suggerimenti del cuoco tristellato Enrico Crippa.
Insomma, questo potrebbe essere il menù che nel 2050 ci fornirà Madre Natura. E i fast food con beverone ipervitaminico? E le pilloline blu al sapore di brontosauro ricostruito geneticamente? Non credo che l’umanità andrà in quella direzione, e vi dico anche il perché: perché dal 10 agosto scorso Scott Kelly e i suoi colleghi astronauti, sulla Stazione orbitante, hanno cominciato a nutrirsi di verdure. Cresciute nello Spazio.
Repubblica – 13 settembre 2015