Gli hamburger più amati dai bovini — quelli che non prevedono la loro presenza tra gli ingredienti — lanciano l’assalto finale al palato e al portafoglio dei consumatori di tutto il mondo. Il lavoro di laboratorio — garantisce chi li ha assaggiati — è finito: i due prodotti leader del mercato, Beyond Burger e Impossible Burger, non contengono un grammo di carne ma hanno gusto, consistenza, aroma e persino succosità da BigMac. Il cocktail proteico messo a punto nella Silicon Valley a base di piselli, patate, soia, carote, olio di cocco — più glucosio di barbabietola e lieviti fermentati per l’”effetto-sangue” — è ormai una copia fedele della versione originale. Risultato: i fake-burger vegetariani e salva-mucche, usciti dalla fase sperimentale finanziata da visionari come Bill Gates e Leonardo DiCaprio, sono diventati all’improvviso macchine da soldi.
Il loro giro d’affari è balzato lo scorso anno del 22% (contro il +2% della carne tradizionale).
«Potevamo fare meglio — spiega David Lee, numero uno di Impossible — ma da quando siamo nel menu di Burger King l’offerta non sta dietro alla domanda». La produzione di Beyond Meat, pronta a quotarsi a Wall Street, è balzata del 70%. E la società ha rinviato il lancio a Londra perché tutto quello che usciva dagli impianti veniva venduto in poche ore da Whole Foods, il supermercato-bio di Amazon.
«Nelle nostre hamburgherie il Beyond è al 10% delle vendite» racconta Andrea Magelli di Welldone, la catena italiana che l’ha in lista. Pure i big dell’alimentare hanno fiutato l’affare: Nestlè sta per lanciare un hamburger non hamburger — nome d’arte “Incredible” — in otto Paesi europei. Danone ne ha uno allo studio. E persino McDonald’s sta valutando il riconoscimento ufficiale del “cugino verde”, per metterlo in menu.
La loro è una scelta obbligata. Uno studio di Lancet (l’ennesimo sul tema) ha certificato la necessità di tagliare del 50% i consumi di bistecche — o meglio l’allevamento intensivo di animali — per salvare il pianeta. Persino Tyson Foods e Cargill, colossi della carne classica, hanno mangiato la foglia, entrando nel capitale di Beyond e di Memphis Meat, re delle succulente polpette vegetali.
La via vegetariana non è però l’unica battuta dall’industria per trovare la pietra filosofale della carne pulita. E sul mercato stanno per debuttare — forse già nel 2019 — due prodotti rivoluzionari: il pollo fatto di pollo senza uccidere un pollo e il tonno fatto di tonno senza sacrificare un pesce. Il destino di galline & C. (negli Usa se ne consumano 9 miliardi l’anno) è in mano alla Just Food. Che ha selezionato cellule del pennuto — prelevate con biopsia indolore o da una piuma — e le ha riprodotte all’infinito in bioreattore grazie a nutrienti vegetali, trasformandole in un petto di pollo identico all’originale. Promosso anche dagli chef che l’hanno provato.
Fanta-gastronomia? Mica tanto: le bistecche hi-tech di carne bianca targate Just potrebbero debuttare in alcuni ristoranti entro fine anno. Lo stesso ha fatto Finless Food, inventando per moltiplicazione cellulare il tonno dalla pinna blu, specie sull’orlo dell’estinzione causa pressione della pesca. I costi di produzione sono alti, ma sono già scesi dai 35mila dollari al chilo di qualche anno fa ai 16mila attuali. E secondo Food navigator a fine anno potrebbero essere uguali a quelli del “collega” cresciuto in oceano. Il prezzo non è l’unico problema delle carni pulite. La lobby americana dell’industria tradizionale è riuscita a convincere 12 Stati a votare leggi che impediscono di etichettare come “carne” i burger vegetali. La supervisione del settore — autorizzazioni comprese — è contesa dalla Usda (che controlla l’agricoltura) e dalla Food and Drug Administration (l’authority alimentare).
L’appello degli scienziati: basta improvvisazioni, la politica ci ascolti
Un gruppo di ricercatori lancia la petizione per un ufficio di consulenza indipendente. “Si segua l’esempio di altri Paesi“
Privacy sui cellulari, vaccini, clima che cambia e ponti che crollano, intelligenza artificiale, ingegneria genetica. Questi temi hanno un trait d’union: sono estremamente attuali e impongono scelte politiche rapide, che devono ( dovrebbero) basarsi sulla scienza. Lo sostiene un gruppo di giovani ricercatori ( perlopiù impegnati all’estero) e giornalisti scientifici, che ha lanciato un appello ai presidenti delle Camere. Chiedono che il Parlamento si doti di un organo di consulenza scientifica permanente, che offra dati tecnici laddove sarebbe auspicabile agire di testa anziché di pancia. La petizione # ScienzaInParlamento è consultabile su www. change. org. ” Ogni giorno — si legge nell’appello — chi governa il Paese deve assumere decisioni che chiamano in causa scienza e tecnologia. È fondamentale che anche il Parlamento italiano, come già avviene in molte altre democrazie, abbia una struttura permanente di consulenza scientifica che aiuti a prendere decisioni più efficaci e informate”. Fra i firmatari ci sono importanti scienziati italiani. « La Francia ha varato un progetto per l’intelligenza artificiale, promosso da un matematico che siede in Parlamento, messo a punto con il contributo di scienziati di tutte le discipline » spiega uno dei promotori, Nicola Bellomo, matematico del Politecnico di Torino e presidente del ” Gruppo 2003″ che raccoglie i ricercatori più citati sulle riviste scientifiche mondiali. «In Gran Bretagna dice Telmo Pievani, scrittore, professore di Filosofia delle scienze biologiche all’università di Padova — i membri della Royal Society vengono consultati dal governo e convocati continuamente in audizione in Parlamento » . Angela Merkel ha un dottorato in chimica quantistica, ricorda Roberto Cingolani, direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia, anche lui fra i firmatari. «E l’ex presidente Obama aveva dei premi Nobel fra i suoi consulenti » . La tecnologia avanza in modo prepotente. « Ed è — prosegue Cingolani — piena di aspetti poco accessibili alla conoscenza comune » . Bellomo ricorda il profondo rosso dei finanziamenti alla ricerca in Italia: 1,3% del Pil (media europea del 2%) e calo del 20% tra 2008 e 2016. «Investire in ricerca consente di produrre beni ad alto valore aggiunto» spiega Bonomo. «La crisi della crescita italiana parte anche da qui. È ora che la politica metta da parte l’improvvisazione».
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