La guerra in Ucraina condiziona anche il mercato della carne di maiale. Con la continua impennata delle materie prime e la carenza di prodotto il prezzo pagato agli allevatori sta salendo vertiginosamente, tanto che potrebbe schizzare da 1,50 a 2 euro al chilogrammo. E potrebbe non essere finita. C’è infatti il rischio che il prezzo salga ancora, con un conseguente calo dei consumi dato che una bistecca o una braciola potrebbero arrivare a costare il 20-30 per cento in più.
“La situazione è preoccupante su tutti i fronti – sottolinea Rudy Milani, presidente della sezione allevamenti suini di Confagricoltura Veneto -. C’è carenza di carne suina a livello europeo perché, tra aumento dei costi energetici e restrizioni normative, le strutture zootecniche hanno ridotto la produzione e perciò il prezzo della carne sale. Se non si raggiungerà un punto di equilibrio sui costi delle materie prime, le quotazioni potrebbero arrivare addirittura a raddoppiare, ma il consumatore ce la farà poi a comprare? Noi comunque oggi, nonostante la carne ci venga pagata di più, stiamo lavorando in perdita, perché gli introiti non coprono le spese di produzione. Inoltre sui mangimi c’è un problema di reperimento e speculazione. Dall’Ucraina e dalla Bulgaria non arriva più nulla e quello che si riesce a reperire sul mercato nazionale si paga come l’oro, oltretutto con bonifico anticipato o soldi a pronta consegna. Il mais è passato da 180 a 420 euro la tonnellata; il frumento e l’orzo da 200 a 430-450 la tonnellata; la soia proteica da 360 a 650 euro la tonnellata. In queste condizioni saremo costretti a indebitare le aziende, oppure a mandare al macello gli animali per evitare che muoiano di fame”.
Molta apprensione anche per la possibile paralisi della movimentazione di animali e derrate alimentari in caso di blocco dei trasporti. “Siamo solidali con gli autotrasportatori perché l’aumento del prezzo dei carburanti è inaccettabile – dice Milani -. Tuttavia non sarebbe sostenibile, per la filiera zootecnica, sostenere anche uno stop dei camion e quindi della nostra attività. Abbiamo scorte di mangimi dai 20 ai 30 giorni, non possiamo rischiare che siano messi in pericolo anche gli approvvigionamenti di prodotti destinati all’alimentazione animale, con grave rischio per il loro benessere e la loro salute. Ci auguriamo che questa guerra apra gli occhi sull’importanza del settore primario, che in questi anni è stato continuamente bistrattato con politiche agricole a livello europeo che hanno portato a ridurre la produzione a livello nazionale”.
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