Claudio Bisio ci ha costruito addirittura un monologo teatrale: ma come può nonna papera cucinare il tacchino, cioè sbafarsi suo cugino? La risposta è nelle code viste ieri davanti ai banchetti dei mercati agricoli e di «Campagna amica» scelti da Coldiretti in tutto il Veneto per celebrare la prima «Giornata nazionale della carne», lanciata in risposta ai timori ingiustificati nati da un frainteso alert dell’Oms sulla correlazione tra l’«oro rosso» e il cancro(leggi articolo sotto).
Sulla paura e sullo sbandierato e generico amore per gli animali ha stravinto la gola e allora tutti in fila a comprarsi succulenti pezzi di bovino con il cane al guinzaglio e i bambini stretti ai pelouches di «Peppa Pig» e «Mucche alla riscossa». «Che c’entra, le mucche e i maiali vivono poco lo stesso, tanto vale approfittarne», la versione diplomatica. «Ma come si fa a rinunciare a una bella costata alta così (segno con le dita, ndr ), magari fatta sulla griglia e con le patate fritte?», la verità vera.
Eccola qua la migliore controffensiva al calo dell’indice di gradimento di quella che fino a dicembre 2015 era la «regina della dieta italiana» (-9% di consumi per il maiale, -6% per il bovino e -1% per pollo e tacchino) e oggi è la damigella di frutta e verdura. Anche a causa del boom di vegani («peggio per loro») e dell’attacco frontale sferrato dagli ambientalisti. Del resto tanti problemi si risolvono a tavola, perciò ieri allevatori e produttori hanno organizzato grandi grigliate (evento clou in piazza a Castelfranco), barbecue e pentolate di spezzatino, hamburger «naturali» e costate sotto il naso di centinaia di consumatori decisamente più propensi a farsi consigliare da tutor con il grembiule davanti e il forchettone in mano che a spaccarsi la testa su trattati e dati scientifici. Una grande ricreazione educativa, con i tutor impegnati anche a insegnare a riconoscere e a scegliere i tagli più adatti, a cucinarli, a valorizzare le parti low cost. Qualche ricettina? Eccole qua, appena sfornate da Giuliano Lombardi, allevatore vicentino e per l’occasione chef al mercato di Noventa Padovana: la guancia è ottima per fare stufati, bolliti e brasati; la lingua va bollita e, nella bella stagione, servita fredda a fettine con olio e sale; il collo serve per polpette e hamburger; petto e costato diventano bolliti, stracotto e macinato; la schiena si usa per roastbeef, costate e filetto; dalla spalla si ricavano bistecche, brasati, vitello tonnato, dai muscoli bollito e spezzatino; la gamba in tavola si trasforma in ossobuco, magari impanato o con le verdure. E il posteriore? Un trionfo di bistecche da leccarsi i baffi. L’orgoglio della carne.
«E’ un valore aggiunto — afferma Lombardi — soprattutto quella italiana, allevata secondo i criteri di massima tracciabilità e sicurezza. Il progresso è tornare indietro, cioè lasciare i mega allevamenti industriali con migliaia di capi, i cicli intensivi e la sovrapproduzione per ridiventare piccoli. Come abbiamo fatto io, due colleghi di Padova e uno di Treviso: ora la mia azienda conta 120 vacche fattrici, non sottoposte a fecondazione artificiale ma naturale con i nostri tre tori, e 150 vitelli all’ingrasso, lasciati fino a 8 mesi con la madre, che li allatta. Poi li alimentiamo con frumento, soia, grano e orzo di produzione veneta e da giugno a settembre li facciamo pascolare sulle malghe. Rispettiamo il ciclo naturale e vendiamo al consumatore, nei mercati agricoli e di campagna, non ai ristoranti o ai negozi. E proponiamo tagli già preparati e senza conservanti o altri componenti, che si possono tenere in frigo 15/20 giorni, senza bisogno di surgelarli». E i prezzi? Medi: 12 euro al chilo per gli hamburger, 16 per le bistecche più pregiate, 20 per le costate sgrassate e senza osso.
«I nostri bovini sono allevati in condizioni ottimali — assicura Giovanni Pasquali, direttore di Coldiretti Padova — le vacche da latte riposano su materassini, in spazi maggiori degli standard minimi, e d’estate possono contare su stalle refrigerate e doccette. Poi è ovvio, come in tutto ci vuole buonsenso: è chiaro che se uno mangia ogni giorno un chilo di carne può mettere a rischio la salute, ma un consumo ragionevole è necessario a raggiungere il giusto apporto proteico». «La nostra è un’operazione verità sulla carne made in Italy e sul suo primato in termini di qualità e sostenibilità ambientale — aggiunge Martino Cerantola, presidente regionale dell’associazione di categoria —. Ed è anche un invito a fare acquisti consapevoli e a non cadere in mode estreme».
«Nessun rischio se non si supera il mezzo chilo alla settimana»
Ma in definitiva mangiare la carne rossa fa male o no? «No — risponde la dottoressa Sara Lonardi, in forza all’Oncologia Medica 1 dell’Istituto oncologico veneto —. L’equivoco è nato dall’errata interpretazione da parte dei mass media del suggerimento dell’Oms di limitare l’assunzione di carni lavorate. Cioè würstel, hot dog, bacon, soppressa e altri prodotti trattati con sale e conservanti e che se mangiati ogni giorno in quantità superiore ai 50 grammi possono aumentare dal 5% al 6% il rischio di tumore».
E con la carne rossa come dobbiamo regolarci?
«Basta stare sui 500 grammi alla settimana. Ma il vero segreto della dieta mediterranea, la migliore, è l’alternanza. E quindi variare tra carne rossa e bianca, pesce, molta frutta e verdura, legumi, carboidrati non raffinati, e poi limitare gli zuccheri semplici e le proteine e usare l’olio d’oliva invece del burro».
E’ la dieta anti-cancro?
«No, quella non esiste. E’ la dieta che assicura al nostro organismo tutte le componenti di cui ha bisogno».
C’è un limite anche all’assunzione di carne bianca, cioè pollo, coniglio, tacchino, anatra?
«No, non ci sono dati scientifici che certifichino l’opportunità di contenerne le quantità».
Michela Nicolussi Moro – Il Corriere del Veneto -6 maggio 2016