Gli allevamenti più inquinanti d’Italia ricevono finanziamenti pubblici: un totale di circa 32 milioni di euro nel 2020, per una media di 50mila euro ad azienda. Lo ha calcolato Greenpeace, che oggi, giovedì 3 novembre, ha pubblicato una mappa interattiva che svela dove si trovano queste imprese, quante emissioni nocive ciascuna di esse ha prodotto e l’importo singolarmente incassato nell’ambito della Politica Agricola Comune (Pac) dell’Unione europea.
Nel complesso, Greenpeace ha geolocalizzato 894 allevamenti, che fanno capo a 722 aziende, alcune delle quali controllate da gruppi finanziari e nomi noti del food e della zootecnia. Fra gli allevamenti considerati, nove su dieci hanno ricevuto finanziamenti pubblici.
Dalla mappa interattiva si evince che le regioni della Pianura Padana sono quelle con il più elevato numero di aziende agricole tossiche per l’ambiente: qui infatti ha sede il 90% degli allevamenti italiani che nel 2020 hanno emesso più ammoniaca. Capofila è la Lombardia, dove si trova oltre la metà di queste realtà.
Dati alla mano – sottolinea Greenpeace – in Italia gli allevamenti sono la seconda causa di formazione del particolato fine (responsabili di quasi il 17% del PM2,5), più dei trasporti (14%) e preceduti solo dagli impianti di riscaldamento (37%).
“Le polveri fini sono responsabili di decine di migliaia di morti premature ogni anno: l’Agenzia europea per l’Ambiente ha stimato quasi 50mila vittime in Italia nel solo 2019. Com’è possibile ridurre drasticamente la diffusione di queste sostanze, se, parallelamente, si continuano a finanziare i modelli zootecnici intensivi e inquinanti che le producono?”, osserva Simona Savini, della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia.
Ma l’inquinamento causato dagli allevamenti italiani è solo la punta dell’iceberg, avverte l’associazione ambientalista. Il Registro europeo E-Prtr riporta infatti solo una parte delle emissioni della zootecnia, tanto che nel 2020 il 92% delle emissioni di ammoniaca prodotte dagli allevamenti non ha trovato “responsabili” perché non monitorato.
Questa dannosa lacuna – conclude Greenpeace – segnala l’urgenza di monitorare e regolamentare un maggior numero di allevamenti, come previsto dalla proposta della Commissione UE di modifica della direttiva europea sulle emissioni industriali. Una proposta, però, che ha già scatenato violente reazioni da parte di esponenti politici e di alcune organizzazioni di categoria.
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