Il Corriere del Veneto. Chi controlla i controllori? La domanda, nel caso del green pass obbligatorio, non è banale. È esperienza comune, nella «nuova normalità», mettere in preventivo una qualche coda all’ingresso della piscina per esibire il green pass. Qualche mugugno ma tutti ottemperano. Ci si accomoda a cuor tutto sommato leggero al ristorante ma, le rare volte in cui prima del menu non viene richiesta l’esibizione del certificato verde un campanello d’allarme suona invariabilmente.
Per non dire del posto di lavoro in cui, contestualmente, al buongiorno d’ordinanza si porge il cellulare per ottenere il viatico della spunta verde. La responsabilità dei controlli, l’ha chiarito a suo tempo il governo, è in capo ai datori di lavoro. Punto. Ma chi controlla i datori di lavoro? Non lo fa l’Inail che non ha competenze in materia, potrebbe farlo l’Ispettorato del lavoro ma su mandato della prefettura. Le prefetture, inizialmente, avevano escluso competenze specifiche. Ora le cose sono un po’ cambiate.
Lo spiega il prefetto di Verona, Donato Cafagna: «È evidente che esista la necessità di verificare che il datore di lavoro metta in campo queste misure. Ci sono stati dei controlli effettuati sugli esercizi commerciali e pubblici da parte della polizia locale ma anche su segnalazione delle forze di polizia. Certo, parliamo di numeri piccoli». L’impressione è che, con la mole di lavoro aggiuntivo di prefetture e forze di polizia legata all’emergenza sanitaria, di controlli sui controllori ce ne siano pochi.
E le scarne forze in campo con gli Ispettorati del lavoro massacrati dal turn over bloccato costituiscono una criticità quasi strutturale. Lo rimarcavano, ieri, commentando le parole del ministro della Pa, Renato Brunetta, i consiglieri regionali del Pd Anna Maria Bigon e Andrea Zanoni: «Eliminare i controlli a sorpresa dalle aziende sarebbe un clamoroso autogol, favorirebbe chi non rispetta le regole ed è un pessimo messaggio per gli imprenditori onesti. C’è bisogno di più ispettori, con maggiori controlli e più approfonditi, altro che controlli concordati».
Un tema dolorosamente confermato da Franca Cossu, dell’Ispettorato del lavoro di Venezia: «Per ora non siamo coinvolti dai controlli sul green pass. La prefettura potrebbe chiedercelo. Preferiremmo occuparci più di sfruttamento lavorativo, diritti sostanziali dei lavoratori ma anche il green pass è un presidio per la salute e per la sicurezza dei lavoratori. Continuiamo, invece, a vigilare sull’applicazione del protocollo sanitario in azienda facendo gioco di squadra con lo Spisal. Essendo entrambi ai minimi storici di personale, abbiamo unito le forze. E pur essendo solo in 12, nel 2020 abbiamo ispezionato 1400 aziende».
È pur vero che l’elenco dei luoghi di lavoro da controllare sulle richieste di green pass è, di fatto, sterminato. I controlli ai controllori, insomma, restano un tema difficile. Qualcosa, però, è stato fatto. Nell’ultimo mese, i carabinieri di Treviso, ad esempio, hanno controllato 20 attività, dai supermercati a un’azienda di volantinaggio. Ben 16 sono state multate per violazione del protocollo Covid, ma paradossalmente tutte erano in regola col green pass. Dato il clima esacerbato fra sì e no pass non manca qualche «delazione», soprattutto dai locali. I clienti prendono il telefono e chiamano i vigili segnalando che nella tal pizzeria il green pass non viene richiesto.
Parla di numeri, per ora, ancora contenuti Massimo Parolin, comandante della polizia locale di Vicenza: «C’è stato qualche caso ma finora non abbiamo avuto particolari criticità. Anche perché il controllo della materia Covid è assegnato in via prioritaria alla polizia di stato, noi concorriamo. Diciamo che i mesi caldi sono stati soprattutto fra marzo e maggio 2020 quando chi superava i famosi 200 metri rischiava davvero la segnalazione da parte di qualche vicino zelante. Comunque dopo una segnalazione, arriviamo in uniforme, è il deterrente migliore».