Tagli del 20 per cento ai salari minimi, nuove privatizzazioni, possibili riduzioni delle pensioni sociali, 15 mila licenziamenti nel settore pubblico e tagli salariali anche nel settore privato. Tutto questo, ciò che era stato richiesto o imposto dalla Ue e dal Fondo monetario internazionale, sarebbero ormai pronti ad accettare il governo greco e i partiti della sua maggioranza.
Le trattative sono finite ieri all’una di notte con questa dichiarazione del premier Lucas Papademos: «Siamo d’accordo su tutti i punti tranne uno». Quell’unico punto in bianco è la questione delle pensioni. Stamani si riprende a discutere. Una prima bozza incompleta di accordo fra i leader politici sarebbe stata comunque siglata ieri e una lettera d’intenti sarebbe stata spedita da Atene a Christine Lagarde, direttrice generale dell’Fmi, per confermare l’impegno a completare il piano di austerità. Mentre Angela Merkel intimava da Berlino: «Ormai è tempo di concludere».
Il condizionale è d’obbligo ma intanto la Ue decide di andare avanti a ogni costo: i ministri finanziari dell’Eurozona sono stati convocati per questa sera alle 18 a Bruxelles per una riunione straordinaria del loro vertice, l’Eurogruppo, che avrà come unico tema proprio la situazione greca. All’incontro parteciperà anche Christine Lagarde. Una volta di più: ogni sviluppo è ancora possibile. Ma l’Eurogruppo, sempre che arrivi la buona notizia da Atene, potrebbe dare il via libera al nuovo piano di aiuti internazionali da 130 miliardi. In questo momento in Grecia i tagli in discussione ammontano a circa 3 miliardi, con i salari minimi che potrebbero calare fino a circa 586 euro mensili.
Se ora partissero i 130 miliardi di aiuti, sarebbe evitata una bancarotta ormai imminente: il 20 marzo scadono 14,5 miliardi di titoli pubblici greci, che oggi Atene non è in grado di rimborsare agli investitori, e il 15 febbraio – una volta ricevuta la conferma dei prestiti – sarebbe l’ultimo termine tecnico-giuridico per accordarsi con le banche e scongiurare il default, l’insolvenza. Nelle ultime ore la situazione si è talmente aggravata che Berlino, davanti al trascinarsi dei negoziati di Atene, ha ventilato uno sdoppiamento in due tronconi dei 130 miliardi, così da esercitare una maggior pressione sui partiti greci.
Ieri mattina, i portavoce di Bruxelles avevano chiarito che l’Eurogruppo non sarebbe stato convocato senza qualcosa di concreto sul tavolo. E se il suo presidente Jean-Claude Juncker ha infine deciso di richiamare i ministri dalle 17 capitali dell’euro (non ci saranno Mario Monti e Vittorio Grilli, impegnati nel viaggio ufficiale a Washington, li sostituirà Carlo Monticelli della Direzione generale del Tesoro), è appunto perché sul tavolo qualcosa di concreto c’è. La bozza di accordo discussa con il primo ministro Lucas Papademos da George Papandreou (partito socialista), George Karatzaferis (estrema destra di Laos) e Antonis Samaras (centro-destra di Nuova democrazia) è composta da 43 pagine in inglese. La trattativa si è arenata per ore anche perché Karatzaferis ha preteso di leggere il documento in greco. In quelle pagine, vengono richieste misure definite dai partiti «molto più dure del previsto», misure che altri governi in situazioni meno drammatiche, probabilmente, non avrebbero mai accettato.