C’è la fila davanti alla piccola farmacia all’incrocio tra Benaki e piazza Exarchia, nel centro di Atene. Nemmeno la bomba d’acqua, annunciata da tuoni e lampi, scoraggia anziani e giovani incappucciati. Tutti restano al loro posto per non perdere l’ultima possibilità di trovare antibiotici, farmaci anticoagulanti, oltre ai cosiddetti “salva vita”.
La maggior parte si è premunita di ombrelli, ma il vento di traverso li rende inutili. “Sono già andata in quattro farmacie ma l’eparina non c’è, speriamo di trovarla qua, fra due giorni non ne avrò più e non so dove andare a sbattere la testa”, dice Efi, un’anziana signora che si sta curando per una tromboflebite. “Se non la trovo, sarò costretta a rivolgermi al mercato nero perché se smetto di iniettarmela potrebbe partire un trombo. Sono sola, nessuno potrebbe curarmi se dovessi avere un ictus”. DIETROA UN BANCONE ricoperto di prescrizioni c’è Milena Athanassopoulou, l’appassionata cinquantenne titolare della farmacia. “Ciao sei tornata, eh? Ogni volta che la situazione sembra precipitare di nuovo, arrivate voi giornalisti”, mi dice nel suo perfetto italiano con inflessione bolognese. Milena, come moltissimi farmacisti greci, ha studiato in Italia. Anche Andreas, Giorgos, Elia, proprietari di altre farmacie del grande quartiere abitato da pensionati esausti per i tagli e giovani disoccupati, non hanno i farmaci per i loro clienti. “È frustrante anche per noi che facciano questo lavoro per passione, ma non è colpa nostra se le case farmaceutiche e i grossisti non ci danno tutti i farmaci che chiediamo, pagando in anticipo di tasca nostra” dice Andreas Markakis, un quarantenne che si è laureato a Camerino. I problemi sono almeno due: le sedi locali delle grandi case farmaceutiche dicono ai farmacisti di non poter consegnare loro tutti i prodotti che richiedono e quindi di rivolgersi ai grossisti. Secondo ostacolo: i grossisti, anziché rifornire i farmacisti greci, ne trattengono una parte considerevole per venderla maggiorata al mercato europeo visto che qui i prezzi sono più bassi. “Secondo le autorità sanitarie, quando non si trovano medicine nelle farmacie private, i pazienti possono rivolgersi a quelle comunali all’interno degli ospedali. Il fatto è che i farmaci mancano spesso anche 11 – spiega Milena – perché il ministero non ha più soldi per acquistare le medicine. Per quanto mi riguarda faccio di tutto per aiutare i tanti anziani in difficoltà e i giovani senza soldi, ma anch’io non ce la faccio più. Mi ostino a tenere aperto, anche in memoria di mio padre che mi ha lasciato la farmacia, ma francamente non conviene più”.
E TUTTI QUESTI clienti? “Spesso sono costretta a dire che non so come aiutarli a causa del grossista che non mi rifornisce ma adesso, lo ammetto, anche per causa mia”. Nella Grecia del terzo millennio, ancora sull’orlo del default e dell’uscita dall’euro, ai farmacisti non conviene più rifornirsi dei farmaci più costosi, che sono quasi sempre “salva vita” o indispensabili per fermare malattie gravemente debilitanti. “Le iniezioni per la sclerosi multipla, per esempio, costano mille euro l’una. Io le devo pagare in anticipo, poi lo Stato dovrebbe rimborsarmi. Il problema è che invece di farlo in quattro mesi, ne impiega otto-nove; quando poi mi rimborsa, io su questi mille euro ne guadagno 30, su cui devo poi pagare le tasse. ‘Chi me lo fa fare’, dicono tanti miei colleghi. E li capisco. Non possiamo rimetterci sempre noi”. I più ricchi possono permettersi di comprare i farmaci all’estero, dopo aver portato oltre confine i loro patrimoni. Anche i greci meno abbienti però lo stanno facendo, ma i soldi ritirati dai conti correnti li tengono in casa. Negli ultimi giorni di febbraio hanno prelevato oltre 2 miliardi di euro. E nell’attesa della decisione dell’Eurogruppo, a cui il ministro delle Finanze – il controverso economista marxista Varou- A fine febbraio prelevati oltre 2 miliardi di euro, molti li tengono in casa in attesa della decisione dell’Eurogruppo sulle riforme del governo
Sarà un fine settimana difficile per i greci. Lunedì dovrebbe esserci il responso dell’oracolo di Bruxelles. Notoriamente più spietato di quello di Delfi.
Il Fatto quotidiano – 28 marzo 2015