Un caso di morbo di Creutzfeldt-Jakob in Brianza. La scorsa settimana una donna poco più che sessantenne è stata infatti ricoverata all’ospedale di Desio con sintomi riferibili alla patologia degenerativa del sistema nervoso meglio conosciuta come mucca pazza.
La paziente, ex impiegata, sposata e madre di due figli, abita in un paese dell’hinterland milanese. Dopo l’accettazione al pronto soccorso era stata trasferita nella divisione operativa di Neurologia dove le sue condizioni sono progressivamente peggiorate.
La notizia è stata confermata dal direttore sanitario e dallo stesso primario della divisione situata all’ottavo piano del nosocomio brianzolo. «A tutt’oggi — spiega il professor Antonio Colombo — esiste ancora un dubbio diagnostico anche se gli esami che abbiamo effettuato dimostrano chiaramente il repentino deterioramento dei tessuti nervosi. L’encefalogramma registra i classici andamenti della malattia degenerativa e anche l’aumentata concentrazione della proteina 14-3-3 e della proteina Tau nel fluido cerebrospinale lasciano pochi dubbi a riguardo».
L’encefalopatia spongiforme è una malattia neurologica cronica degenerativa causata da un «agente infettivo non convenzionale», cioè un prione, una proteina patogena che va a compromettere le cellelule nervose: «Il morbo di Creutzfeldt-Jakob — aggiunge il primario — può essere di origine genetica, acquisito attraverso trapianti soprattutto di cornee o assunzione di carne bovina. La conferma diagnostica può essere fatta comunque solo mediante la dimostrazione delle caratteristiche lesioni spongiformi accompagnate dalla presenza di proteina prionica in un prelievo di tessuto nervoso che attualmente può essere eseguito solo post-mortem».
L’ultimo caso del morbo di Creutzfeldt-Jakob registrato in Brianza risale all’ottobre 2009 quando venne colpita una donna residente in provincia di Salerno: «Anche in quel caso c’era il sospetto che potesse trattarsi di una variante bovina visto che la sintomatologia presentava fortissime turbe psichiatriche. Ci vollero sei mesi da parte dell’Asl per diagnosticare che si trattava invece di un caso sporadico». Pochissimi dal 1986, anno in cui in Inghilterra si registrò il primo decesso a causa della malattia generata dall’utilizzo di farine animali nell’alimentazione bovina, i casi conclamati in Italia della variante bovina: «Purtroppo — conclude il professor Antonio Colombo — contro queste malattie degenerative del sistema nervoso e in modo particolare del cervello non esistono terapie efficaci e la prognosi è infausta. L’attesa di vita non supera quasi mai i 3-4 mesi. La malattia non è infettiva e può essere trasmessa tramite contagio di sangue o attraverso l’impianto di organi».
IL Giorno – 29 febbraio 2012