di Federico Fubini, il Corriere della Sera. E’ in corso da circa un anno una misteriosa, quanto improvvisa, invasione di grano russo in Italia: in particolare di frumento duro, quello che si consuma trasformato in pasta che poi arriva sulle tavole delle famiglie italiane. Di colpo l’afflusso di questo tipo di derrata dalla Russia è più che decuplicato – una crescita del 1.164% nell’ultimo anno – al punto da superare di netto dal luglio del 2023 anche il Canada, tradizionalmente principale fornitore estero dei produttori italiani di pasta. Negli ultimi sei mesi poi il ritmo degli arrivi è accelerato ulteriormente. Peraltro l’Italia resta l’unico Paese nell’Unione europea a registrare un aumento del genere, mentre quel tipo di prodotto è del tutto assente in altre economie consumatrici di grano duro quali Spagna, Belgio o Grecia.
Le derrate russe non sono sotto sanzioni.
A differenza del petrolio, di gran parte dei prodotti in acciaio o dei diamanti, le derrate agricole russe non sono mai state messe sotto sanzioni dall’Unione europea. Dall’inizio l’esenzione è stata finalizzata ad evitare un aumento dei prezzi internazionali delle materie prime alimentari, che colpirebbe in primo luogo i più poveri nei Paesi in via di sviluppo. Dunque gli acquisti da parte di operatori italiani sono in sé legali, per quanto di solito in gran parte il grano duro russo fosse esportato verso economie a reddito medio-basso.
L’aumento dell’import dalla Russia
Eppure, per quanto legali, queste importazioni dalla Russia verso l’Italia per molti aspetti sono sorprendenti. E gettano una luce cruda sulle ambigue operazioni di Mosca, così come sulle scelte difficili che tutti i Paesi occidentali hanno davanti nel rapporto con il sistema produttivo del Paese di Vladimir Putin. I dati sono innegabili: sono elaborati dal Centro studi Divulga sulla base di statistiche Istat e della direzione generale Agricoltura della Commissione europea.
Le triangolazioni con Turchia e Kazakistan
L’ambiguità invece è, in gran parte, legata alle rotte commerciali. Esse infatti non sempre appaiono dirette: resta l’impressione che i prodotti della Federazione russa arrivino anche tramite triangolazioni, in modo da confondere le tracce della loro reale origine. Nel 2023 l’Italia ha importato direttamente dalla Russia 410 mila tonnellate di grano, contro quantitativi quasi inesistenti in tutti gli anni precedenti, anche prima della guerra. Esattamente allo stesso tempo si registra però anche un’impennata delle importazioni dalla Turchia, sempre a quota 410 mila tonnellate nel 2023, di nuovo da un Paese quasi del tutto assente dal mercato italiano negli anni precedenti. Addirittura, nella seconda metà del 2023 Russia e Turchia praticamente doppiano i volumi di fornitura del Canada, che era il primo fornitore estero dell’Italia da molti anni. Anomalo anche l’aumento della presenza sul mercato italiano delle spedizioni dal Kazakistan, che piazza 250 mila tonnellate nel 2023 quando, di nuovo, era irrilevante negli anni precedenti: anche in questo caso il rischio di triangolazioni con la Russia per coprire l’origine del prodotto è difficile da escludere.
I rischi per l’Italia
Tutto questo naturalmente pone il Paese, appunto, di fronte a scelte difficili. Perché è innegabile che le produzioni russe nell’immediato siano convenienti: costano poco – rispetto a quelle italiani o canadesi – e permettono ai trasformatori di essere competitivi e ridurre i prezzi ai consumatori, dopo la traumatica stagione dell’inflazione sui beni alimentari che ha colpito soprattutto le famiglie meno abbienti. Ma l’ingresso massiccio in Italia di grano russo, direttamente oppure coperto dietro triangolazioni con la Turchia o il Kazakhstan, finisce per finanziare l’economia di guerra di Vladimir Putin.
Le manovre speculative
C’è poi un secondo problema, dato che l’import di frumento da pasta in Italia copre poco meno di un terzo del fabbisogno totale. I produttori italiani che assicurano il restante 70% del mercato si trovano ora spiazzati, di fronte a una concorrenza a costi molto più bassi che li costringe a ridurre i margini per stare sul mercato. Il grano duro all’ingrosso quota oggi 385 euro a tonnellata, oltre il 30% più di quanto costasse prima che il razionamento del gas ad opera di Putin a metà del 2021 facesse esplodere i prezzi dei fertilizzanti e delle colture. Ma da luglio scorso il prezzo all’ingrosso è sceso del 7,6%, proprio per effetto della presenza sul mercato italiano di grano sottocosto da Est. Dice Nicola Musa, responsabile dei contratti di filiera di Consorzi d’Italia: «Pensiamo che queste entrate improvvise di grano russo e turco possano essere manovre speculative messe in piedi ad arte per deprezzare il prodotto italiano». Ma aggiunge il responsabile di Consorzi d’Italia: «Ci aspettiamo che nei prossimi mesi i prezzi all’origine del grano italiano tornino a salire, dato che storicamente ha sempre avuto standard di qualità superiori».