La riduzione sarebbe di 91 milioni, ma le formazioni maggiori rinuncerebbero solo a 25-35 d Marco Palombi
AImeno questo, il taglio c’è: lo ha certificato ieri il ddl messo insieme dalla maggioranza ABC per diminuire i rimborsi elettorali per politiche, europee e regionali. Il fondo da cui i partiti prendono i soldi viene ridotto dagli oltre 180 milioni del 2011 a 91 milioni dalla legislatura del 2013 con un taglio temporaneo, perle rate in arrivo in questi mesi, del 33%. Evidentemente la pressione dell’opinione pubblica ha spinto la politica ad agire, solo che c’è il trucco: un piccolo accorgimento che rischia di far diventare questa legge quasi un guadagno per i partiti più grandi. Intanto la riduzione del fondo: le varie manovre economiche di questi anni ne avevano previstola discesa dai 290 milioni del 2010 fino ai 143 milioni del 2015. Quei risparmi erano già a bilancio e dunque parlare di “dimezzamento” è fuorviante. In secondo luogo il rimborso continua a non essere legato alle spese effettive e alla loro rendicontazione, ma forfettario. In terzo luogo, un piccolo inciso in quel ddl farà si che le cifre complessive per i grandi partiti non caleranno di molto rispetto ai tagli già fatti. Come? In soldoni, se la torta è più piccola, bisogna essere di meno a spartirsela. E, infatti, il testo su cui oggi si cominciano a votare gli emendamenti in commissione prevede che il fondo da 91 milioni – diviso in due diversi comparti – dovrà essere ripartito proporzionalmente solo tra chi riesce ad eleggere qualcuno (oggi basta ottenere l’1% dei voti). Quanto al rimborso vero e proprio, per dire, vengono stanziati 63,7 milioni l’anno: se al prossimo giro la situazione fosse simile all’attuale, vuol dire che se lo spartiranno cinque soggetti (oggi sono Pd, PdL, Lega, Udc e Idv).
IL DDL Bressa-Calderisi (dal nome dei due relatori, uno Pd e uno PdL) fa però ben di più, reintroducendo pure il finanziamento pubblico diretto e sempre con un metodo di calcolo favorevole ai big players della politica: 27,3 milioni saranno divisi in base ai contributi privati – tessere, contributi, etc – arrivati a vario titolo ai partiti (50 cent ogni estro ricevuto). Più soldi hai, più te ne darà lo Stato: modo bizzarro per promuovere il pluralismo e la partecipazione. Insomma, fatti due conti la rata annuale dei partiti più grandi sarà ridimensionata, ma non di molto rispetto ai tagli già messi a bilancio nel 2010 e 2011: a spanne si starà tra i 25 e i 35 milioni di euro per i due big. Non solo. Bersani, Casini e il PdL (se esisterà ancora) godranno anche di un effetto collaterale: la morte per debiti dei partiti più piccoli come Prc, Pdci, Verdi, la Destra e anche SeL se non entrerà in Parlamento. Quanto ai movimenti locali, che potrebbero accedere al rimborso perle regionali, saranno probabilmente spinti a rinunciare ai soldi pubblici dall’obbligo di far certificare il bilancio da una società di revisione esterna: il costo del servizio, alla fine, potrebbe mangiarsi l’intera somma (diverso sarebbe, ad esempio, se l’ente di controllo fosse la Corte dei Conti). Oggi sarà il giorno degli emendamenti: ce ne sono molti di vario genere, ma nessuno intacca il principio della proporzionalità tra torta e invitati al banchetto. Il Movimento 5 Stelle proprio in questi giorni ha dimostrato di poter competere con i partiti tradizionali senza usare soldi pubblici, ma rimane ancora da dimostrare che quel 10% e più preso nel centronord alle amministrative sia l’inizio di una scalata al governo del Paese. Il rischio è che dopo la grande normalizzazione, che prima o poi arrivai, l’oligarchia partitica resti sola al comando.
Il Fatto quotidiano – 9 maggio 2012