Non può essere utilizzata la mailing list aziendale per veicolare messaggi sindacali fortemente critici nei confronti dell’azienda. Si tratta di una condotta che ha una rilevanza disciplinare e può condurre all’interruzione del rapporto di fiducia con il datore di lavoro e quindi al licenziamento. Lo puntualizza la Corte di cassazione con la sentenza n. 20715 della Sezione lavoro depositata ieri.
La Corte ha così respinto il ricorso presentato dal dipendente di un’impresa da anni in forte contrasto con i vertici. L’uomo si era appropriato, utilizzando la propria password di accesso dell’indirizziario interno (che comprendeva sia dipendenti sia collaboratori) installandolo sul computer di un’organizzazione sindacale. La lista di indirizzi elettronici era poi stata utilizzata per l’invio di mail con allegati volantini molto critiche verso la direzione aziendale.
Un comportamento che, a giudizio della Cassazione, non è di gravità tale da motivare un licenziamento per giusta causa, ma può condurre, come è avvenuto, all’integrazione di un giustificato motivo soggettivo di recesso. Se infatti la lista di cui si era appropriato il dipendete non conteneva i riferimenti di posta elettronica di clienti o soggetti estranei all’azienda, tuttavia non poteva essere utilizzata per finalità estranee o addirittura in conflitto con l’impresa stessa.
A questo proposito non ha giovato al dipendente neppure il fatto che nel parallelo procedimento penale fosse stato emesso un verdetto di proscioglimento. Da una parte infatti l’assoluzione non era stata emessa con formula piena. Nella motivazione si precisava appunto che non erano stati raccolti sufficienti elementi di prova a carico dell’imputato. In questo contesto, allora. il giudicato penale di assoluzione non impedisce al giudice del lavoro di procedere a un’autonoma valutazione degli stessi fatti ai soli fini del giudizio civile. Così, anche se i medesimi fatti non hanno una rilevanza penale, tuttavia possono assumere rilevanza su quello disciplinare ed essere idonei a giustificare il licenziamento.
Discorso diverso si sarebbe invece dovuto fare se, nel procedimento penale, fosse stata accertata invece l’insussistenza del fatto oppure della partecipazione dell’imputato. In questo caso, infatti, il giudizio penale avrebbe avuto un effetto preclusivo anche sul versante civile impedendo diverse conclusioni da parte del giudice del lavoro.
Il Sole 24 Ore – 13 settembre 2013