Scommetto che non mi sa dire il nome di un marchio tedesco di un prodotto alimentare… Eppure nel settore agroalimentare la Germania esporta il triplo dell’Italia a livello globale». Gianpiero Calzolari, presidente del colosso Granarolo, controllato all’80% dalla cooperativa Granlatte, ripete come un mantra che le nostre aziende devono crescere di peso, aumentare le loro dimensioni se vogliono competere in Europa e nel mondo. «Le aziende tedesche in media sono più grandi delle nostre e meglio organizzate: è questo il segreto del loro successo».
Negli ultimi tre anni Granarolo ha fatto sedici acquisizioni in Italia e all’estero. È arrivato a essere il terzo gruppo alimentare nella grande distribuzione dopo Barilla e Ferrero. Ora vi fermerete con lo shopping?
«Assolutamente no. Granarolo ha presentato pochi giorni fa l’offerta migliore e si è aggiudicato Pandea, la storica industria parmense di prodotti da forno che occupa circa 80 lavoratori e sono in programma altre acquisizioni in Italia».
E all’estero?
«Siamo in 56 Paesi ma non abbiamo ancora una presenza negli Stati Uniti. Il gruppo sta valutando un’operazione importante proprio in America».
Qual è il possibile identikit di questa azienda Usa?
«Puntiamo su un gruppo alimentare diversificato che potrebbe spaziare dai formaggi, prosciutti, pasta, fino all’aceto con un fatturato attorno ai 100 milioni di dollari».
Come pensa di finanziare questa acquisizione negli Usa?
«Finora Granarolo ha fatto shopping di aziende autofinanziandosi e con una leva abbastanza bassa sul debito. Al momento la posizione finanziaria netta è di 100 milioni e potrebbe arrivare a duecento milioni».
Oltre alle acquisizioni quali sono gli altri punti cardinali del nuovo piano industriale 2016-2019?
«Forti delle acquisizioni già fatte e di quelle che presto faremo vogliamo aumentare il peso del nostro fatturato all’estero dall’attuale 22% – era solo il 4% nel 2011 – al 40% a fine 2019, il doppio insomma. L’altro obiettivo è continuare sulla strada di diversificazione e innovazione dei prodotti, percorsa già dal 2004. Oltre alla produzione di latte e formaggi vogliamo crescere di più nel segmento bio per arrivare a una quota del 10% di latte biologico della produzione totale di latte. Poi vogliamo crescere con pasta, prosciutto e aceto balsamico. Abbiamo come obiettivo quello di raggiungere ricavi totali per 1,6 miliardi alla fine del 2019».
Come si chiuderà il bilancio quest’anno?
«Il fatturato dovrebbe toccare 1,2 miliardi e il margine operativo lordo dovrebbe essere superiore a quello del 2015, seguendo il trend degli ultimi anni».
Pensa di quotare Granarolo a Piazza Affari?
«Abbiamo un’organizzazione con standard di trasparenza equivalenti a quelli di molte società quotate, anche per i rapporti che abbiamo con le banche. Tuttavia, per crescere e fare acquisizioni non ci serve oggi la quotazione, perché ci autofinanziamo. Pertanto nel breve termine non c’è la prospettiva di una quotazione in Borsa, ma nel medio-lungo periodo non posso escluderla».
L’Europa ha annunciato uno storico via libera europeo alla richiesta italiana di indicare obbligatoriamente l’origine del latte e dei prodotti affini, a cominciare dai formaggi. Ma basta questo per difendere il made in Italy?
«Un risultato confortante, ma è importante che l’Europa dia sostegno anche ad altri prodotti del made in Italy nell’alimentare e faccia di più per contrastare l’industria dei cibi falsi che vale oltre 60 miliardi l’anno».
Secondo il piano del governo, l’agroalimentare italiano ha grandi potenzialità e potrà passare dagli attuali ricavi per 36 miliardi a 50 miliardi nel 2020.
«Il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda e il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina danno sostegno al settore ma per rafforzare l’agroalimentare non basta essere presenti alle fiere internazionali, occorrono una vera politica industriale e un lavoro di squadra che coinvolga i grandi produttori: Barilla, Ferrero, Granarolo, Cremonini, i consorzi di tutela di formaggi e salumi. Bisogna lavorare insieme così da avere la massa critica sufficiente per andare all’estero. Proprio di questi temi parleremo domani, a Bologna nel nuovo Auditorium di Granarolo, al convegno dedicato a una riflessione sull’ Economia del cibo, con rappresentanti del governo, della Regione e del mondo dell’economia».
Gli allevatori si sono fatti sentire nei mesi scorsi perché il prezzo del latte alla stalla era molto basso. Questo trend andrà avanti?
«In estate Lactalis pagava 30 centesimi al litro e ci sono state molte proteste degli allevatori in Italia e Francia. Noi lo pagavamo 35 centesimi perché puntiamo su un latte di qualità. Ma il problema è stato un eccesso di produzione del latte, soprattutto da parte di Francia, Germania e Olanda, ora in parte rientrato. Di conseguenza i prezzi hanno già ricominciato a risalire».
La Stampa – 7 novembre 2016