All’età in cui il Giovane Holden si chiedeva dove andassero d’inverno le anatre del Central Park, un mio amico più prosaico si domandava dove finissero le montagne di soldi che la gente depositava in banca. Ieri ha finalmente avuto la risposta: a casa del signor Luigi Compiano, titolare di un’azienda di custodia valori nel Trevigiano.
Questo arzillo connazionale aveva un modo tutto suo di custodire le dolomiti di banconote che prendevano ombra nei suoi scantinati. Ogni tanto ne piallava i cucuzzoli, prelevando spiccioli a proprio uso e consumo. Quando una banca chiedeva indietro i propri soldi, lui li prendeva dal mucchietto di qualche altra banca, coprendo provvisoriamente l’ammanco con un assegno cabriolet che tanto nessuno sarebbe mai andato a incassare. Con questa trovata da ladro di polli ha fatto fesso per vent’anni l’intero sistema bancario italiano. Il che la dice lunga sul sistema bancario italiano, ma anche su di lui e quindi un po’ su di noi.
Se c’è un aspetto che sorprende ancora, in questa storia, non è la faccia tosta del protagonista (certe cose le faceva già al cinema Jerry Calà), ma la ossessività delle sue passioni. Con i soldi sottratti, Compiano si è comprato 400 auto e 70 barche. Ora, cosa se ne fa un uomo normale di 400 auto e 70 barche? Costano una fortuna solo di parcheggio. E che piacere proverà mai nel lucidare ogni settimana 400 cruscotti? Domande esistenziali che non ammettono risposta. A differenza di quell’altra, «chi custodisce i custodi?», che si pose per primo Giovenale, una ventina di secoli fa. Ora lo sappiamo: nessuno.
La Stampa – 11 ottobre 2013