«Only about Florence». Matteo Renzi scandisce bene queste parole nell’incontro consueto con i giornalisti a Palazzo Vecchio per la conferenza stampa di fine anno da sindaco di Firenze, che cade proprio in contemporanea con quella tenuta a Roma dal premier Enrico Letta. E infatti Renzi, mantenendo il garbo istituzionale, dà solo la notizia – che è una conferma ufficiale – che si ricandiderà a fare il sindaco di Firenze per i prossimi 5 anni.
Innanzitutto un gesto di distensione verso Roma e quanti temono sue manovre segrete per far cadere il governo e andare alle urne nella prossima primavera. «Se mi ricandido a sindaco – dice Renzi con i suoi – è proprio perché non credo che la legislatura stia per finire». Anche se, ammette in pubblico, «non si può sapere che cosa accadrà in Italia nei prossimi 5 anni». Ribadendo poi che la sua idea di partito è quella di «aprire sempre più agli amministratori», Renzi ha sottolineato: «Che il sindaco di una città sia anche segretario di partito è vista come un’eccezione solo in Italia, è così in tanta parte d’Europa».
Nessuna relazione con quanto detto da Letta, dunque, e nessun commento ufficiale. Ma certo il neo leader del Pd non può che avere apprezzato le parole del premier sulla legge elettorale e sulle riforme costituzionali, parole che confermano la road map concordata: entro le elezioni europee di fine maggio via libera definitivo alla nuova legge elettorale e primo doppio passaggio parlamentare della riforma costituzionale che supera il bicameralismo e riduce il numero dei parlamentari. L’aver agitato lo spettro dell’accordo con Fi sul Mattarellum corretto ha dunque portato un primo risultato, dal punto di vista di Renzi: l’ok del Ncd di Angelino Alfano all’approvazione della nuova legge elettorale entro maggio, slegando così il tema da quello delle riforme costituzionali che potranno essere approvate solo in autunno. Occorre un segnale subito o le europee rischiano di rivelarsi una catastrofe per il Pd, è il ragionamento che si fa in casa renziana. Così come occorre un segnale subito sul fronte del lavoro: è intenzione di Renzi far rientrare il job act – con maggiore flessibilità in uscita e l’introduzione di un sussidio universale di disoccupazione – nel patto di coalizione da siglare a gennaio.
Ma la compagine di governo, così com’è, è in grado di rappresentare questa svolta anche in termini programmatici di cui parlano sia Letta che Renzi? Il premier smentisce ipotesi di rimpasto (termine che tra l’altro dà troppo idea di Prima repubblica) e anche il leader del Pd non sembra intenzionato a chiedere nuovi “posti”. Ma qualche aggiustamento ci sarà, e negli ambienti democratici se ne discute già da giorni. L’uomo forte di Renzi nel governo, ossia il ministro degli Affari regionali Graziano Delrio, ora che il “suo” Ddl province è giunto a buon fine avrà con ogni probabilità un ruolo di maggior peso nell’esecutivo: l’ipotesi più probabile è il Viminale, dal momento che Alfano dovrebbe lasciare il ministero dell’Interno mantenendo la carica di vicepremier.
Destinato a un posto di ministro sembra essere poi il predecessore di Renzi Guglielmo Epifani, vicino a Letta ma non distante dallo stesso Renzi: l’ex segretario del Pd punta a un ministero economico, in particolare allo Sviluppo economico in sostituzione del bersaniano Flavio Zanonato. Fino a qualche giorno fa per Epifani c’era anche l’ipotesi del ministero del Lavoro al posto del tecnico Enrico Giovannini, ma difficilmente un uomo come l’ex leader della Cisl potrebbe mettere la firma su una riforma del lavoro che comprenda anche la revisione del fatidico articolo 18.
Ferma restando la casella dell’Economia a Fabrizio Saccomanni nonostante i molti malumori in casa Pd da parte dello stesso Renzi, resta poi sullo sfondo il caso Anna Maria Cancellieri. Renzi ne aveva chiesto la testa nei giorni della scandalo Ligresti, quando invece la ministra della Giustizia è stata difesa pubblicamente dal Capo dello Stato. Passata la bufera, le dimissioni della Cancellieri tornano ora nel novero delle possibilità. Ma se il Pd occuperà una casella come quella degli Interni difficilmente potrà indicare anche il successore a Via Arenula.
Il Sole 24 Ore – 24 dicembre 2013