Allo studio l’ipotesi di rinviare di 3 mesi l’aumento al 22% dell’aliquota sui consumi
ROMA – La vera priorità è il pacchetto di misure per l’occupazione dei giovani. Il governo avrebbe già individuato 3-400 milioni di risorse e conta di vararlo entro una decina di giorni, forse già la prossima settimana. In ogni caso prima del 27-28 giugno, per consentire al premier, Enrico Letta, di andare al Consiglio Ue di Bruxelles e chiedere con maggior forza che anche l’Europa faccia la sua parte per fronteggiare gli effetti della crisi. In concreto, sbloccare subito i fondi del programma Youth (altri 400 milioni per l’Italia) e autorizzare l’uso dei fondi strutturali europei non utilizzati per sostenere l’occupazione.
Se l’operazione riuscisse (la ricognizione dei fondi inutilizzati è affidata al ministro Carlo Trigilia, che Letta ha visto venerdì sera) verrebbe fuori un pacchetto di qualche miliardo di euro. Abbastanza importante da alleggerire il problema dell’aumento Iva, sul quale il governo continua a studiare, ma che costerebbe molto, anzi troppo, risolvere ora in modo definitivo.
Per scongiurare del tutto l’aumento dal 21 al 22% dell’Iva dal primo luglio servirebbero subito 6 miliardi, 2 per quest’anno e 4 per il prossimo (più altri 4 l’anno per il resto dell’eternità). Il semplice rinvio di sei mesi costerebbe due miliardi, mentre per spostare lo scatto dell’Iva a inizio ottobre sarebbe sufficiente un miliardo.
Sarebbe questa, quella di un rinvio di tre mesi, l’opzione preferita dall’esecutivo, che tuttavia deve ancora trovare il miliardo necessario per tamponare il minor gettito. Al ministero dell’Economia è al lavoro un gruppo di studio tecnico che sta esaminando tutte le varie opzioni per rendere l’operazione meno pesante possibile per i conti pubblici. Si valuta anche un aumento selettivo dell’Iva, cogliendo l’occasione per razionalizzare la confusione attuale delle aliquote, che sullo stesso identico prodotto possono essere diverse in funzione di come è impacchettato o distribuito (ad esempio, sul pane del fornaio c’è l’aliquota del 10%, su quello incellofanato del supermercato, però, si paga il 21%).
Per ora sarebbe una razionalizzazione, più che un taglio, ma sufficiente per prender tempo ed affrontare nel corso dell’estate il nodo delle tasse, tra Iva, Imu e il taglio del cuneo fiscale reclamato dalle imprese. Mettendo sul piatto tutte le esigenze di spesa e tutte le possibili fonti di entrata. Che sono essenzialmente tre: una nuova tranche della spending review sulla pubblica amministrazione, la revisione degli incentivi alle imprese, e la razionalizzazione delle detrazioni, deduzioni ed agevolazioni fiscali. Un dossier pronto da tempo, quest’ultimo, che il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni ha già rispolverato e messo sulla sua scrivania.
Non a caso il ministro ha voluto che all’Economia restasse il sottosegretario alle Finanze del governo Monti, Vieri Ceriani, almeno come componente del suo gabinetto. È stato Ceriani, quando ancora era in Bankitalia, e su incarico del governo Berlusconi, a fare il censimento di tutte le forme di agevolazione, detrazione e deduzione fiscale. È stato sempre lui, come sottosegretario, a curare la nuova delega fiscale che puntava molto anche sulla revisione delle agevolazioni. In ogni caso Ceriani è l’uomo che più di ogni altro conosce il misterioso universo delle “tax expenditures”, così dette proprio perché di fatto equivalgono ad una spesa pubblica. Che in Italia, manco a dirlo, è andata fuori controllo.
Giusto ieri il ministro Saccomanni ricordava come,per ridurre le tasse sulle imprese e sul lavoro, il governo punti sul taglio della spesa, ma anche «sulla riduzione dei sussidi e degli incentivi creati in modo troppo generoso in passato». Tra sconti, detrazioni e deduzioni, le 720 forme di agevolazione previste dal nostro ordinamento fiscale erodono ogni anno 253 miliardi di euro al gettito. Un “tesoretto” che ormai da due o tre anni è nel mirino dei vari governi che si sono succeduti, ma che è ancora lì, intatto.
Anzi. Se l’Iva è aumentata (dal 20 al 21% nel 2011) e dovrebbe aumentare ancora (al 22%) è proprio perché il tentativo di mettere le mani sulle detrazioni è sempre fallito. L’aumento dell’Iva fu previsto per garantire la riforma degli incentivi, da cui il governo Berlusconi contava nel 2011 di tirar fuori almeno 20 miliardi, e che non fu realizzata. Nel 2012 il governo Monti ci ha provato due volte, in entrambi i casi senza riuscirci. La revisione delle agevolazioni doveva servire a evitare l’ulteriore aumento dell’Iva, che invece è ancora lì davanti a noi. E sempre il taglio delle agevolazioni, con i tetti e le franchigie su deduzioni e detrazioni, doveva servire a finanziare la riduzione dell’Irpef sui primi due scaglioni di reddito. Saltata anche quella. Ora il governo è pronto a riprovarci, ma con obiettivi meno ambiziosi. Sarebbe già un gran bel risultato, dicono a via XX settembre, se si riuscissero a tagliare 3-4 miliardi. Basterebbero per dimezzare l’Imu sulla prima casa e, magari, a limitare l’impatto dell’aumento dell’Iva. Che potrebbe salire, se tutto andasse per il verso giusto, di solo mezzo punto.
Mario Sensini – Corriere della Sera – 9 giugno 2013