Un referendum per cancellare i voucher. Un altro per tornare all’articolo 18 nelle aziende sopra i 5 dipendenti. Un altro ancora per garantire che le imprese subappaltatrici paghino i contributi ai loro dipendenti. Tre quesiti presentanti dalla Cgil che potrebbero interferire con la complicata partita a scacchi sul futuro del governo e della legislatura.
Perché, se la Cassazione prima e la Consulta poi dessero il via libera, si dovrebbe votare nella prossima primavera. Chiamare cioè i cittadini, reduci dal no di proporzioni impreviste al taglio dei senatori o all’abolizione del Cnel, a pronunciarsi sui famigerati voucher. E ancora più sul tanto discusso Jobs act, con la prospettiva di tornare alle vecchie protezioni contro i licenziamenti senza giusta causa.
Qualcosa che, al momento, potrebbe fare pensare a una valanga di no sopra governo e maggioranza. E l’ipotesi, letta in questa chiave, comincia già a circolare. “Segnalo che l’anno prossimo avremo di nuovo prove su questo terreno perché la Cgil ha promosso tre referendum, tra cui quello contro l’abolizione dell’articolo 18. Oggi non finisce un percorso, tutt’altro. Bisogna fare di questo risultato un’analisi che possa guidare le azioni dei prossimi mesi. Torneremo al protagonismo dei cittadini, che hanno dimostrato di voler esercitare le loro prerogative in proprio”, ha spiegato Stefano Rodotà il giorno dopo il risultato del 4 dicembre.
Un buon motivo per pensare che nei ragionamenti di questi giorni sul voto anticipato possa pesare anche la preoccupazione di evitare questo nuovo “giudizio di Dio”, mandando a casa senatori e deputati. Rinviando, come previsto dalla legge, il voto referendario di un anno. Un meccanismo ampiamente usato, ricordava sempre il leader dei Radicali Marco Pannella per bloccare le sue ondate referendarie, un prendere tempo per cercare di trovare soluzioni e disinnescare la mina.
Cesare Damiano, democratico, presidente della Commissione lavoro della Camera, giudica però “fantasioso” questo legame fra voto anticipato e referendum della Cgil. “Francamente non ci avevo proprio pensato – dice – non vedo proprio il nesso. È un fatto del tutto casuale e non credo che sia stato mai valutato”. Nel merito, Damiano si dice favorevole all’abolizione dei voucher “per il cattivo funzionamento di cui hanno dato prova”, mentre crede “sia impossibile tornare indietro sull’articolo 18 perché era stato già svuotato di molte delle sue previsioni”.
Questi referendum della Cgil sono comunque legati a doppio filo alla proposta di legge popolare sulla Carta dei diritti su cui la Cgil ha raccolto un milione e 150 mila firme che sono state depositate alla Camera. Si tratta di un testo che mira a un nuovo Statuto dei lavoratori, coerente con la mutazione del mercato del lavoro, che tuteli soprattutto i giovani dalle nuove forme di sfruttamento.
Nel momento del deposito degli scatoloni con le firme, i presidenti delle Camere hanno assicurato che la discussione sulla Carta dovrebbe iniziare nel primo trimestre del 2017. Un esame che andrebbe a cozzare frontalmente con alcuni punti chiave dell’azione del governo Renzi e rischierebbe di spaccare ancora una volta il Pd. Ma il confronto, spiegano dalla Cgil, potrebbe essere sereno e si svolgerebbe sotto quello che chiamano lo “stimolo” dei referendum sul tappeto. Sempre che la Consulta li ammetta. E che il presidente della Repubblica non sciolga prima le Camere e mandi tutti a casa. Ma come proposta di legge di iniziativa popolare la Carta dei diritti non muore con la legislatura: verrebbe automaticamente recuperata nella legislatura successiva.
L’iter sui referendum è ancora in corso. La Cgil ha infatti depositato in estate 1.100.000 firme per ogni quesito e l’Ufficio centrale per il referendum presso la Cassazione deve verificare le firme e valutare se i quesiti rientrino fra le materie che si si possono sottoporre a referendum abrogativo. Tre giorni fa i proponenti sono stati sentiti dai giudici e adesso, forse già nei prossini due tre giorni, il relatore potrebbe presentare l’ordinanza. Un passaggio che comunque si deve concludere entro il 15 dicembre. Poi la palla passerebbe alla Consulta che ha tempo fino al 20 gennaio per decidere sull’ammissibilità dei quesiti.
Repubblica – 9 dicembre 2016