Si giocherà tutto, ma proprio tutto, la sua stessa sopravvivenza in politica, Matteo Renzi sulla riforma del Senato («che è il punto centrale»), o meglio sull’abolizione del Senato così com’è adesso, cioè la seconda Camera di un bicameralismo tanto perfetto, quanto ormai inceppato.
Sarà insomma quella del Senato, per Renzi, «la madre di tutte le battaglie». Tanto che il premier ha fatto una promessa solenne: «Se non riesco a superare il bicameralismo perfetto chiudo con la politica. Non ho paura di rischiare tutto me stesso in questo percorso di riforma». «Il Senato non voterà mai più la fiducia al governo, mai più la legge di Stabilità. Oggi (intende, senza il Senato, ndr ) la legge elettorale sarebbe già approvata».
Tre sono i cardini della riforma. Innanzitutto, la nuova Assemblea delle Autonomie (così si chiamerà) non darà più la fiducia politica al governo. Secondo: l’Assemblea non sarà elettiva ma rappresenterà le istituzioni territoriali ed eserciterà la funzione di raccordo tra lo Stato centrale, le Regioni, le Città metropolitane e i Comuni, evitando quella serie infinita di conflitti davanti alla Corte costituzionale che ormai da decenni, ma con un ritmo di forte crescita, paralizzano il funzionamento delle istituzioni. Terzo, ciò permetterà un drastico taglio dei costi della politica (è stato quantificato in un miliardo di euro all’anno) perché i componenti dell’Assemblea delle Autonomie non riceveranno alcuno stipendio aggiuntivo. E ci sarà una drastica riduzione del numero dei parlamentari (cioè i 315 senatori attuali).
Renzi spiega di aver «illustrato ai ministri un testo di riforma: diamo 15 giorni e poi si porta in Parlamento».
Così al termine della conferenza stampa del premier le 41 pagine in tutto della bozza del disegno di legge costituzionale vengono caricate sull’homepage del sito governo.it . E già si sa che all’inizio della prossima settimana il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi e lo stesso premier saranno in Senato ad illustrarla ai capigruppo non solo di maggioranza, ma anche di Forza Italia.
La bozza che illustra il funzionamento dell’Assemblea delle Autonomie recepisce i suggerimenti avanzati da più parti, rispetto al primo progetto illustrato da Renzi alla segreteria del suo partito, quando non era ancora presidente del Consiglio. A cominciare da quelli del presidente della Corte costituzionale, Gaetano Silvestri. Infatti la nuova Assemblea sarà composta non tanto da sindaci ma innanzitutto dai presidenti delle giunte regionali, i governatori, e i presidenti delle Provincie autonome di Trento e Bolzano, nonché «per ciascuna Regione, da due membri eletti dai Consigli regionali e da tre sindaci eletti da un’assemblea dei sindaci della Regione».
In questo modo l’Assemblea svolgerà una funzione simile a quella del Bundesrat tedesco «che è anche il modo per far sì che il nuovo “Senato” svolga un ruolo effettivo nel nostro Paese, mentre in Francia e Spagna si tratta di una Camera che ha pochissimo peso», spiega Giorgio Tonini, vicepresidente dei senatori del Pd.
Giudizio sostanzialmente favorevole viene espresso dal costituzionalista Stefano Ceccanti che considera il nuovo disegno di legge «un bel balzo » rispetto alle proposte precedenti, soprattutto perché l’Assemblea sarà espressione sostanzialmente delle Regioni.
Dei cinque membri della Consulta scelti dal Parlamento tre saranno scelti dalla Camera e due dalla nuova Assemblea.
Il progetto avrà conseguenze anche sullo status dei senatori a vita. Gli ex presidenti della Repubblica diventeranno «deputati di diritto e a vita, salvo rinunzia». Il capo dello Stato, inoltre, si legge nel testo, potrà nominare membri dell’Assemblea delle Autonomie «ventuno cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti». Ma questi nominati non diventeranno più l’ago della bilancia politica, perché non daranno più la fiducia al governo.
M.Antonietta Calabrò – Corriere della Sera – 13 marzo 2014