Daniele Marini. Il territorio ha assunto, negli ultimi anni, un’importanza crescente nella discussione pubblica e politica. E ciò accade per il concorrere di un insieme di aspetti. Sicuramente, i processi di globalizzazione hanno un ruolo centrale nel ritorno alla categoria del territorio. Le nuove tecnologie ci connettono col mondo, i sistemi produttivi si localizzano oltre i confini originari e allungano le proprie reti, prescindendo dalle frontiere, la finanza non ha barriere, le migrazioni spostano porzioni di intere popolazioni: osservando simili fenomeni, si può ben dire che stiamo diventando un «grande caseggiato globale».
Costruire un condominio
Nella costruzione di questo «condominio», però, si alimenta anche un sentimento di spaesamento: c’è bisogno, quindi, di ancorarsi alle proprie radici. Più spesso non in modo alternativo e nel contempo desideriamo essere aperti al mondo. Anche la politica, e non solo quella nostrana, riscopre l’importanza del territorio. La metamorfosi dei partiti ha portato alla perdita di rilievo della loro presenza territoriale: alla scomparsa dei circoli nelle società locali si è sommato un inviluppo nelle dinamiche interne dell’azione politica che hanno fatto smarrire il contatto con la realtà. Di qui l’invocazione allo stare in mezzo alla gente.
Lo stesso mondo produttivo, poi, sta scoprendo la centralità del territorio come fattore di competitività. Non si tratta solo delle buone performance dei distretti industriali, come sottolineato dal rapporto del Monitor del Centro Studi di Intesa Sanpaolo. Ma anche dell’importanza che ha nel raccontare i prodotti, nel valore aggiunto che assumono le tradizioni e il brand territoriale nell’affermare le nostre produzioni su scala globale, come dimostra il successo del Made in Italy.
Dunque, il territorio nelle sue accezioni diviene centrale, paradossalmente, nelle dinamiche globali. Quanto esso sia importante e quale peso abbia non si misura solo sotto il profilo economico, ma anche dal punto di vista della percezione che la popolazione ha del luogo in cui vive. In questo senso l’ultima rilevazione di Community Media Research (in collaborazione con Intesa Sanpaolo, per «La Stampa») ha esplorato quale fosse il peso che la popolazione assegna alla propria regione sotto due versanti: economico e politico.
Peso percepito
Ne scaturisce una geografia non scontata. Osservando il peso economico percepito, si collocano ai primi posti, al di sopra della media (50,9%), Lombardia (94,6%), Veneto (89,1%) ed Emilia Romagna (86,8%), seguiti da Toscana (74,0%) e Piemonte (65,4%). Dunque, è il Nord produttivo a considerarsi la leva dell’economia, da un lato; mentre – con l’eccezione della Basilicata (47,5%) e del Lazio (41,5%), collocate poco sotto la media – le rimanenti regioni del Centro (Marche e Umbria: 12,1%) e soprattutto del Mezzogiorno (14,4%) si attribuiscono una scarsa importanza economica, per non dire di una sensazione di marginalità. Va notato, però, come non tutte le regioni del Nord si collochino al di sopra della media: gli abitanti di Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Liguria riverberano una percezione poco positiva della propria economia, al punto che la Valle d’Aosta occupa l’ultimo posto.
La graduatoria muta quando si passa a considerare il peso politico. Dato un valore medio assai più basso (33,2%) rispetto a quello economico, assistiamo a uno slittamento che coinvolge intuitivamente in misura maggiore alcune regioni del Centro e del Nord. Il podio è conquistato dalla Toscana (82,4%), seguita dall’Emilia Romagna (69,4%) e dal Lazio (68,8%), ovvero le principali regioni di provenienza dei ministri dell’esecutivo Gentiloni (e Renzi prima), oltre alle figure di spicco dell’arena politica. Più staccate troviamo la Lombardia (60,7%) e la Basilicata (51,3%). uniche regioni a situarsi sopra la media.
Linee di frattura
Dunque, un simile esito induce a sottolineare come non esista, nella percezione della popolazione, una sovrapposizione netta fra peso economico e politico. Come se si registrasse un disallineamento fra ruolo dell’economia e rappresentanza politica che vede coinvolte realtà significative come Piemonte (29,4%), Veneto (21,7%), Friuli Venezia Giulia (29,4%), oltre alla Campania (32,0%).
La ricerca mostra come esistano (e persistano) linee di frattura a livello territoriale non solo nei dati oggettivi, ma nelle percezioni della popolazione. E però sono faglie disomogenee rispetto a quanto siamo portati a pensare. Il Nord costituisce la locomotiva economica, ma non tutto il Nord lo è. Dovremmo parlarne al plurale, come «i» diversi Nord. Analogamente si deve guardare al Mezzogiorno. Anzi, a «i» Mezzogiorno. Come lo Svimez segnala, si tratta di un insieme articolato di territori. Prova ne sia il caso Basilicata, la cui crescita del Pil è superiore alla media, ma la popolazione si attribuisce un peso rilevante sul piano economico e politico: come dare loro torto pensando alla ripresa produttiva a Melfi, a Matera città della cultura europea nel 2019, al turismo, ai set cinematografici?
Paradossalmente, il territorio e i territori assumono un ruolo fondamentale a fronte dei processi di globalizzazione. Bisogna però osservarli con attenzione per narrarli realisticamente. Per assottigliare anche la frattura fra rappresentazione sociale e rappresentanza politica.
La Stampa – 27 marzo 2017