Il 10% dei dipendenti in Italia ha uno stipendio più basso dei minimi contrattuali. Più basso di quanto? Del 20% in media. Questo ha verificato sul campo Andrea Garnero, economista Ocse, con uno studio il cui titolo è già una valutazione dell’efficacia dei contratti nazionali: «Il cane che non abbaia non morde». Come dire: tanto parlare e difendere i contratti nazionali (anche contro l’idea di un minimo salariale fissato per legge) per poi scoprire che in realtà questi minimi non vengono garantiti a tutti.
I penalizzati sul fronte delle retribuzioni hanno nomi e cognomi. Si tratta dei dipendenti delle piccole imprese, delle donne, dei lavoratori del Sud, dei dipendenti con contratti a termine di vario tipo. Va rilevato, poi, che non tutti i settori sono uguali. Quelli con la maggior quota di lavoratori pagati sotto i minimi sono l’agricoltura (31,6% dei dipendenti) e le professioni legate a cultura, arte e sport (30.9%) seguite da chi opera nell’alberghiero e nella ristorazione (20,7%), dall’immobiliare (15,5%). Quelle dove il divario è minore sono la pubblica amministrazione (4,15%), le telcomunicazione (7%), le costruzioni (7,4%) e i trasporti (7,9%).
Garnero ha utilizzato tre fonti per il suo studio: rilevazione sulle forze di lavoro Istat dal 2008 al 2015, dichiarazioni dei datori di lavoro relative al 2010 e dati Inps sulle comunicazioni delle imprese per il pagamento dei contributi (2008 -2014). Lo studio calcola anche i salari reali definiti dai minimi contrattuali nelle diverse Regioni (i valori nominali dei minimi parametrati ai prezzi nei vari territori). Si evidenzia così come il salario reale nelle regioni del Sud sia più elevato. Dalla Campania in giù il minimo contrattuale garantisce circa 9,8 euro l’ora contro i 9 dall’Emilia Romagna in su.
Garnero evidenzia poi come i salari minimi definiti dai contratti in Italia siano relativamente elevati (il 75-80% del valore mediano degli stipendi pagati dalle aziende). Inoltre chi è pagato sotto il minimo di solito non ha alcun adeguamento quando viene firmato un nuovo contratto. «È urgente mettere mano alla contrattazione collettiva», osserva Garnero. Che propone tre strade a costo zero: «Diminuire il numero dei contratti. Assicurare che siano firmati solo da organizzazioni rappresentative. E renderli noti a tutti».
Rita Querzé – Il Corriere della Sera – 1 febbraio 2017