Ilvo Diamanti. Nell’anno dell’anti-politica, mentre si acuisce il distacco dallo Stato e dai partiti, si assiste a un prepotente ritorno della politica. O meglio: della “partecipazione politica”. Attraverso nuovi “media”. Ma anche attraverso le forme più tradizionali. Internet e la piazza, insieme. A rinforzarsi a vicenda.
Peraltro, all’indomani del referendum che ha bocciato la proposta di riformare la Costituzione, riemerge e si ripropone, ancora ampia, la domanda di riformare la Costituzione. E le istituzioni. Di emendare il bicameralismo. Di ridurre i costi della politica. Sono alcuni paradossi — apparenti — del XIX Rapporto “Gli italiani e lo Stato”, curato da Demos per Repubblica.
D’ALTRONDE, la campagna referendaria, per quanto aspra, ha, comunque, ri-educato gli italiani ai temi della Carta costituzionale. E ne ha concentrato l’attenzione intorno alle questioni pubbliche. Non solo, ma ha mobilitato gran parte dei cittadini. Li ha spinti al voto e, prima ancora, al dibattito. Nelle sedi politiche, ma anche nella vita quotidiana, negli ambienti privati. Sono gli effetti imprevisti di tanti mesi di confronto e divisioni. Alla fine hanno realizzato un esito unificante. Sotto altri profili, questo Rapporto riproduce un ritratto coerente con il passato.
In alto, davanti a tutto e a tutti, nella classifica dei soggetti pubblici: Papa Francesco. E le Forze dell’Ordine. Rispondono a una domanda — diffusa e radicata — di certezza etica e, d’altro canto, di sicurezza personale. Mentre le istituzioni dello Stato riscuotono la consueta diffidenza. Al tempo stesso, i cittadini sono insoddisfatti dei servizi pubblici. Provano sfiducia nei confronti delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali. Ma, soprattutto, verso i soggetti di rappresentanza politica. I partiti, lo stesso Parlamento. Sono, come sempre, in fondo alla classifica. Evidentemente, è in questione il fondamento della nostra democrazia, visto che i principali attori della rappresentanza, i partiti, non sono solamente sfiduciati, ma vengono ritenuti “corrotti”. Quanto e più che ai tempi di Tangentopoli.
Il No al referendum costituzionale, d’altronde, ha avuto — anche — questo significato. Un No al sistema dei partiti. E ai politici che li guidano. In testa: il Premier. La sfiducia diffusa nella società, peraltro, avvolge anche la sfera delle relazioni personali, dei “rapporti con gli altri”. Guardati con prudenza da gran parte dei cittadini. Chissà: ci potrebbero fregare… E poi ci sentiamo “invasi”. La paura degli immigrati non è mai stata così alta. Eppure, come sempre quando si tratta dell’Italia e degli italiani, il quadro non è mai così lineare e coerente come potrebbe apparire a prima vista.
La considerazione dei servizi pubblici, anzitutto. Gli italiani non ne sono soddisfatti, come detto. Eppure pochi, anzi, pochissimi richiedono davvero “più privato”. È l’atteggiamento di prudenza critica, radicato nella nostra società. La democrazia: sarà anche corrotta, ma “un uomo solo al comando” potrebbe essere più pericoloso. Per non parlare della UE e dello stesso Euro. Gli italiani ne pensano il peggio. Però pochi, pochissimi, tra loro, vorrebbero abbandonare l’Euro. E la UE. Perché, anche se non piacciono, non si sa mai… Restarne fuori potrebbe costarci parecchio.
Lo stesso discorso vale per le riforme costituzionali. Non più tardi di un mese fa largamente bocciate. Tuttavia, la necessità di emendare la Costituzione, per renderla più efficiente, è largamente condivisa. E molti che un mese fa avevano votato No, oggi si dicono d’accordo con alcuni dei punti più importanti del referendum. Il superamento del bicameralismo e, soprattutto, la riduzione dei parlamentari.
Il problema è che il referendum, nella percezione generale, assai più della Costituzione, riguardava il sistema politico e di governo. Per primo, Renzi. Oggi quel governo e quel premier non ci sono più. Mentre le riforme possono attendere. Quanto, non si sa. Sicuramente, parecchio.
In questo cielo chiaroscuro c’è una zona di luce interessante e significativa. La partecipazione. Nell’ultimo anno appare cresciuta in modo significativo. In massima misura quella “im-mediata”, realizzata attraverso la rete e i social-media. Strumento di “democrazia della sorveglianza”. Mentre la partecipazione sociale e il volontariato segnano il passo. Probabilmente, fra queste tendenze c’è una relazione. In quanto le nuove forme di partecipazione hanno, in parte, surrogato e, talora, rimpiazzato la partecipazione sociale e volontaria. Ma si è allargata anche la partecipazione politica “tradizionale”, incentivata, nel corso degli ultimi mesi dalla mobilitazione referendaria. In ogni caso, la “critica democratica” ha allargato le basi della “partecipazione democratica”. Ha spinto i cittadini a interrogarsi sui valori e sui limiti della Costituzione. Sui rischi che corriamo, nel tentativo di correggerla e ridisegnarla. Ma anche su quanto ci costa la resistenza a ogni innovazione.
Insomma, nel corso dell’ultimo anno, mi pare sia cresciuto, fra i cittadini, il senso civico e critico. Insieme alla domanda di riforme. Che potrebbe essere assecondata meglio evitando di “politicizzarla”. O meglio, di piegarla a fini politici contingenti. Ma mi pare sia stato un buon anno per la nostra democrazia. Nonostante tutto. Perché si è allargata la voglia e anzitutto la pratica della partecipazione. Politica e critica. Attraverso vecchie e, soprattutto, nuove vie. La mobilitazione e l’affluenza inattesa, per dimensione, al referendum, ne sono un segnale evidente. Meglio seguirlo con attenzione.
Certo, continuiamo ad essere un popolo di riformisti scettici, animati da un rapporto con lo Stato: critico e disincantato. E da un orientamento politico polemico. Eppure attivo e partecipe.
Ci sentiamo europei: nonostante tutto. Siamo italiani. Una nazione con poco Stato. Oppure troppo.
Dipende dai punti di vista.
Repubblica – 7 gennaio 2017