Nomine vecchie per un organismo ormai obsoleto che andrebbe profondamente riformato nei suoi fini e nella sua organizzazione. E poi non convince assolutamente la posizione assunta verso il Parlamento sull’obiezione di coscienza
A volte capita che qualcuno mi chieda come mai sono particolarmente severo nei confronti della ministra Lorenzin. Chi legge quello che scrivo sa bene che tale presunta severità (io preferisco parlare di autonomia intellettuale) non riguarda mai le persone ma le loro politiche, cioè i loro atti, le loro espressioni, i loro discorsi… chiunque essi siano. Il parametro con il quale mi relaziono con gli altri e quindi anche con la ministra, è una certa visione del mondo (weltanschauung) compresa quella della sanità di cui mi occupo per mestiere, sapendo bene che ogni visione del mondo non è la verità scolpita nel bronzo.
Nel caso della ministra devo dire che quando fu nominata per darle il benvenuto non esitai a scrivere “forza ministro venda cara la pelle e sia ambiziosa” (QS 2 maggio 2013). Mi piaceva soprattutto che fosse donna, che assomigliasse a quel grande attore che è stato Karl Malden, ma soprattutto che fosse giovane. I giovani si dice sono il cambiamento per antonomasia. Convinto come sono che in sanità bisogna cambiare nel caso della ministra ho applicato, oggi devo dire incautamente, la regola transitiva.
Incautamente perché? Bastano le due ultime performance della ministra a smontare l’equazione giovane/cambiamento. La prima è la nomina del Consiglio superiore della sanità, molto criticata tanto per le nomine omesse tanto per quelle immesse. In questa occasione la ministra avrebbe potuto fare un semplice e inequivocabile gesto riformatore disponendo per la chiusura di questa inutile sovrastruttura o quanto meno avrebbe potuto riciclarla ma ridefinendone la funzione quindi ripulendola dai proverbiali “porci e cani” (che stavolta sono più del solito) per farne un luogo ristretto quindi gradito alla spending review, dell’intellighenzia medico-sanitaria del paese. Non serve essere severi nei confronti di una ministra che da giovane fa le vecchie cose della più brutta politica. Si è delusi e basta.
La seconda è la sua relazione al Parlamento sulla legge 194, che leggo con piacere, ha reso perplessa anche la senatrice De Biasi (QS 18 settembre) ma devo dire anche molti altri. Non voglio parlare delle fallace della sua analisi sul rapporto tra obiezione e ivg e né dell’analisi assolutamente superficiale dei problemi della legge 194, (forse in questo caso alla giovane età si accompagna l’inesperienza), e ne voglio rinfacciare alla ministra il genere a cui appartiene. Voglio parlare del suo rapporto da ministro con il Parlamento cioè con il massimo luogo della rappresentatività democratica.
Ebbene questa volta non mi delude ma mi indigna che il Parlamento non obblighi un ministro al dovere dell’onestà intellettuale. In parlamento come altrove si devono dire le cose come sono anche se sono sgradevoli. Chi crede nel confronto democratico cerca le soluzioni nel confronto democratico. Le implicazioni delle tesi sostenute dalla ministra sono semplicemente antiparlamentari. Se si sostiene quello che ha sostenuto la ministra si finisce per dedurne che la riduzione in assoluto dell l’vg sia funzione dell’obiezione di coscienza, ma sostenere questo significa che con l’aumento dell’obiezione di coscienza si può cancellare la 194 cioè un diritto. Ma può una professione per quanto rispettabile cancellare una legge del Parlamento?
L’obiezione di coscienza, lo dico ai miei preoccupati amici cattolici, è un principio etico che personalmente rispetto ma che in nessun modo può pretendere di cancellare dei diritti. Per cancellare o modificare delle leggi si deve tornare in Parlamento. I diritti non si cancellano tagliando i servizi, impoverendoli, creando problemi insormontabili agli operatori, definanziando le tutele come sta avvenendo in sanità. Fino a quando i diritti sono legge dello Stato si rispettano…punto e basta. Male ha fatto Lorenzin a non riferire al Parlamento della complessità etico sociale e sanitaria che oggi l’obiezione di coscienza suo malgrado rappresenta.
Nella speranza di provocare un qualche “motus animi” nella giovane ministra suggerisco nel caso del Css se proprio non lo vuole chiudere (io lo chiuderei) quantomeno di riciclarlo come si fa con i rifiuti, cioè di ricavarne una qualche utilità per noi tutti. Per quanto riguarda la legge 194 le propongo di organizzare un convegno non sull’obiezione di coscienza che resta un diritto a sua volta definito dalla legge , ma con il seguente titolo“Prevenzione dell’aborto: come costruire la libertà delle scelte consapevoli”.
Ivan Cavicchi – Quotidiano sanità – 20 settembre 2013