Precarietà per il futuro, forte preoccupazione per la propria salute, difficoltà nel trovare gratificazioni e in molti casi sfumature depressive. È il quadro che emerge dal primo studio sui mutamenti della qualità della vita in Italia a seguito dell’emergenza coronavirus.
L’indagine è stata realizzata da un gruppo di studiosi dell’Università di Bologna e dell’Università degli Studi di Palermo raccogliendo informazioni su più di duemila persone tra la popolazione generale italiana. I risultati ottenuti – pubblicati sul Journal of Clinical Medicine – mostrano l’impatto che la pandemia ha avuto sulla percezione della qualità della vita a più livelli: fisico, psicologico, relazionale, ambientale.
“È stato ed è tuttora un trauma collettivo“, spiega Elena Trombini, professoressa al Dipartimento di Psicologia “Renzo Canestrari” dell’Università di Bologna, che ha coordinato lo studio insieme a Maria Stella Epifanio dell’Università di Palermo. “Con il lockdown la vita delle persone è stata improvvisamente stravolta, e questo ha portato ad una sensazione di precarietà e di incertezza per il futuro, oltre che ad una forte preoccupazione per la salute: tutti fattori che hanno contribuito ad abbassare la qualità della vita“.
Tra le categorie più colpite, le variabili che più hanno influenzato questo deterioramento della qualità della vita sono: il genere femminile, la giovane età, la disoccupazione, un basso livello socio-culturale, la zona di residenza e la diagnosi di una condizione medico-psichiatrica.
Tra le donne, in particolare, è emerso un peggioramento complessivo della qualità della vita maggiore rispetto a quanto riportato dagli uomini. Probabilmente – suggeriscono gli studiosi – dovuto ad un sovraccarico di impegni famigliari e di cura, anche in conseguenza della chiusura delle scuole, a cui gli uomini non hanno contribuito allo stesso modo.
Un’altra categoria particolarmente colpita è poi quella dei giovani adulti, che ha fatto registrare una condizione di salute psicologica significativamente peggiore – con alti livelli di stress, di ansia e di depressione – rispetto sia alla popolazione di adulti maturi che rispetto agli anziani.
“I giovani adulti si trovano in una fase della vita particolarmente delicata, caratterizzata da importanti trasformazioni come l’inizio dell’università, il raggiungimento della laurea, il primo accesso al lavoro, la costruzione di relazioni affettive importanti”, dice ancora Trombini. “In questo contesto, la situazione pandemica, con i suoi effetti di precarietà, perdita dell’occupazione, calo del rendimento universitario, interruzione di progetti sentimentali, ha certamente minacciato in modo particolare la loro stabilità psicologica e la fiducia nel futuro“.
Guardando poi alla distribuzione geografica, nonostante nella prima fase dell’emergenza le aree più colpite siano state nel nord Italia, è la popolazione dell’Italia meridionale ad aver riportato un calo maggiore della qualità della vita. Un fenomeno che, secondo gli autori dello studio, potrebbe essere dovuto alle fragilità strutturali di molte regioni del Mezzogiorno, soprattutto rispetto alla disponibilità di risorse finanziarie, alla possibilità di accesso ai servizi sanitari, alle condizioni abitative, alla qualità dei trasporti pubblici: tutti elementi che hanno probabilmente indotto maggiore preoccupazione e sfiducia rispetto alla possibilità di far fronte alla pandemia.
Un altro elemento interessante emerso dallo studio riguarda poi le regole imposte per contrastare la diffusione della COVID-19. La maggior parte dei partecipanti le ha rispettate, ma se si guarda al genere si nota una differenza significativa a favore delle donne rispetto agli uomini. “Diversi studi sui modelli di genere suggeriscono che gli uomini hanno maggiori probabilità di assumere comportamenti a rischio rispetto alle donne, e i nostri risultati lo confermano”, spiega Trombini. “Questa maggiore adesione da parte delle donne alle misure di contenimento del contagio potrebbe anche in parte spiegare la disparità di genere a favore degli uomini registrata sia per i casi di ricovero che nel tasso di mortalità”.
Infine, conta anche l’atteggiamento psicologico con cui è stata affrontata l’emergenza. Le persone più insoddisfatte della qualità della loro vita sono infatti risultate quelle che più hanno mostrato un senso di impotenza sulla possibilità di contenere la diffusione del contagio, anche grazie al rispetto delle regole igieniche e di distanziamento sociale. “Da un punto di vista psicologico, i sentimenti di impotenza e passività nell’affrontare la minaccia pandemica potrebbero aver favorito meccanismi difensivi disadattivi, che si traducono nell’adozione di strategie disfunzionali, come per esempio il minimizzare la gravità dell’emergenza”, conferma Trombini.
Ci sono insomma specifiche variabili – ad esempio di genere, di età, geografiche – che permettono di individuare quali sono in questo momento le fasce della popolazione più vulnerabili. E questi risultati mostrano la necessità di interventi specifici di sostegno psicologico per contenere, sia a breve che a lungo termine, gli impatti negativi causati dalla pandemia.
Lo studio è stato appena pubblicato sul Journal of Clinical Medicine con il titolo “The Impact of COVID-19 Pandemic and Lockdown Measures on Quality of Life among Italian General Population”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Federica Andrei, Francesca Agostini, Marco Andrea Piombo ed Elena Trombini del Dipartimento di Psicologia “Renzo Canestrari”, insieme a Giacomo Mancini del Dipartimento di Scienze dell’Educazione “Giovanni Maria Bertin”. Per l’Università degli Studi di Palermo hanno partecipato Maria Stella Epifanio, Vittoria Spicuzza, Martina Riolo, Gioacchino Lavanco e Sabina La Grutta del Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiche, dell’Esercizio Fisico e della Formazione.