L’abrogazione dell’articolo 18 comporta meno garanzie per il lavoratore nell’arco di tutto il rapporto di lavoro e più alti costi per le imprese.
Il dipendente avrà più timori nel fare valere le sue pretese ma le imprese potrebbero essere costrette a liquidare i diritti relativi a tutto l’arco temporale del rapporto di lavoro e non solo quelli relativi agli ultimi cinque anni. L’allarme è stato lanciato dal Consiglio nazionale forense, riunito fino a domani a Roma per il VII Congresso per l’aggiornamento professionale, che vede la partecipazione di circa 2500 avvocati. Secondo Il Cnf, infatti, “rischia di essere molto costosa la scelta di agganciare il nuovo welfare alla disciplina dei licenziamenti”. Si legge in una nota che “toccare la pietra angolare dell’articolo 18 potrebbe costare di più per tutto il sistema economico piuttosto che garantire i risultati attesi in termini di efficienza”.
“Il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, garantita dall’articolo 18, comporta che il lavoratore può far valere le sue pretese solo con riferimento agli ultimi cinque anni di lavoro”, spiega Bruno Piacci, consigliere Cnf. “Diversamente avverrebbe se venisse meno la norma che garantisce il reintegro: a quel punto il lavoratore potrebbe avanzare pretese relative a tutto l’arco temporale del rapporto, con notevole aggravio dei costi per le imprese, nell’ipotesi di vecchie inadempienze”. In generale, ogni rapporto di lavoro diventerebbe “più conflittuale”, e il lavoratore maggiormente esposto a possibili arbitri da parte del datore di lavoro. Per gli avvocati, infine, altre questioni critiche dipendono dal fatto che sarà molto difficile provare la “discriminazione”, senza contare che comunque al licenziamento discriminatorio sarebbe applicabile la nullità. Insomma, quello che rimarrebbe dell’artico 18 sarebbe praticamente inutile. “Affidare poi al giudice la scelta della sanzione tra reintegro e risarcimento è inaccettabile perché si creerebbe diversità di decisioni in situazioni identiche, con eclatante violazione del principio di uguaglianza”, ha concluso Piacci
ItaliaOggi – 18 marzo 2012