A quattro giorni dall’avvio della campagna per la terza dose (solo con vaccini a mRna) oltre 15 mila persone in Italia hanno ricevuto il richiamo. Per ora i destinatari sono i soggetti fragili (931 mila tra trapiantati, pazienti oncologici, immunocompromessi), poi probabilmente — quando arriverà il via libera del Comitato tecnico-scientifico — sarà la volta del personale sanitario, residenti nelle Rsa e ultra 80enni. Si parla di una terza dose per tutti, ma su questo punto non c’è accordo tra gli esperti, nonostante alcuni studi indichino che il richiamo (booster) rafforza in modo significativo la risposta immunitaria.
Il confronto negli UsaNegli Stati Uniti il dibattito è infuocato. Gli esperti dei Centers for disease control and prevention (Cdc) si sono riuniti per valutare l’opportunità di fornire la terza dose e a quali gruppi di persone, dopo che la Food and drug administration (Fda) ha raccomandato il booster solo per gli over 65 e i soggetti fragili. Secondo uno studio dei Cdc si osserva un «significativo» calo dell’efficacia dei vaccini, inducendo a ritenere necessaria una terza dose, come sostiene l’immunologo Anthony Fauci. Moderna risulta il vaccino più performante: dopo 4 mesi dalla completa immunizzazione, l’efficacia contro i ricoveri è al 92% rispetto al 93% iniziale, contro il 77% di Pfizer. Per il monodose Johnson & Johnson l’efficacia cala al 68% dopo 28 giorni. I dubbi sul richiamo generalizzato nascono anche dal fatto che nei Paesi più poveri non ci sono nemmeno iniezioni sufficienti per la prima dose.
Lo studio israelianoIl primo ad avviare la somministrazione della terza dose è stato Israele, a luglio, e uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, sulla base dei dati del ministero della Salute di Gerusalemme, mostra che i casi di contagio e malattia grave calano «sostanzialmente» con il richiamo Pfizer. Il tasso di infezione è inferiore di 11,3 volte rispetto alle due dosi, mentre il tasso di malattia grave cala di 19,5 volte. Lo studio è stato condotto su 1,13 milioni di over 60 che avevano completato l’immunizzazione 5 mesi prima. Rispetto alla variante Delta, si legge nel lavoro, la terza dose Pfizer «porterebbe l’efficacia del vaccino a circa il 95%, un valore simile a quello che si aveva contro l’Alfa».
Le pubblicazioniUn lavoro prodotto dalla stessa Pfizer e inviato alla Fda mostra che, in 306 volontari che hanno ricevuto la terza dose, gli anticorpi sono triplicati rispetto a chi aveva ricevuto le due dosi. Un altro studio pubblicato nei giorni scorsi sul New England Journal of Medicine conferma che la terza dose di Pfizer, dopo 8/9 mesi dalla seconda, aumenta la protezione e l’immunità. Il gruppo di ricercatori europei e americani ha constatato come l’efficacia sia scesa all’84% dopo 4/6 mesi dalla seconda iniezione. Dopo un mese dalla terza dose, invece, la protezione è aumentata di 5 volte nella fascia di età 18-55 anni e di oltre 7 volte nei 65-85enni.
L’indagine in ItaliaMolti studi sono in corso per cercare di capire quanto dura la protezione offerta dai vaccini anti-Covid. In Italia Francesco Scaglione, docente di Farmacologia all’Università degli Studi di Milano e farmacologo clinico all’Ospedale Niguarda, sta analizzando da diversi mesi, insieme al suo team, una coorte di tremila persone (medici e dipendenti dell’ospedale) che è stata vaccinata a gennaio. «Valutiamo il calo della risposta anticorpale tramite le IgG anti-Spike — spiega Scaglione, che è anche componente della Società italiana di farmacologia —: mentre a 3 mesi di distanza rimane alta, a 6 mesi si abbassa nel 40-50% dei soggetti. Invece i guariti, con una dose di vaccino, mantengono la risposta alta anche a 6 mesi. In ogni caso, anche con pochi anticorpi, è possibile che, a contatto con il virus, si attivi una reazione immunitaria rapida grazie ai linfociti. In questo momento non credo serva la corsa alla terza dose, ma proteggere i fragili è giusto, per un atto precauzionale».
IL Corriere della Sera