Oggi sono le uova al fipronil, ma ieri erano i pesticidi nella frutta e verdura arrivate dalla Turchia, le aflatossine nelle noci e semi dell’Iran, il mercurio nel pesce proveniente dalla Spagna. Nel 2016 sono state 2.993 le segnalazioni inviate al sistema di allerta rapido per la sicurezza alimentare europeo Rasff. E di queste 847 erano classificate come allarmi, ovvero i casi più pericolosi, quelli in cui il rischio per la salute umana e degli animali è alto ed è necessario un immediato intervento da parte dei 34 soggetti che fanno parte della rete Rasff (32 stati più l’Ue e l’associazione per il libero scambio Efta).
Il sistema è sicuro? Ci protegge abbastanza? Quanti di quegli alimenti sono arrivati sulle nostre tavole? Domande legittime, in questo periodo. Eppure, gli ultimi dati della Rasff sembrano confortanti. Gli allarmi sono andati crescendo mentre le segnalazioni minori sono in diminuzione, segno che gli Stati si stanno concentrando sui casi più gravi e agiscono di conseguenza. Quando parte un’allerta, la Commissione europea la valuta e la rilancia. Un secondo sistema di monitoraggio verifica i cosiddetti follow-up, le risposte da parte degli altri Stati. Questi sono passati da 2.312 a 4.666 tra il 2012 e il 2015, segno che le maglie della rete sono sempre più fitte.
Eppure, si può fare meglio. I giornali belgi ieri pubblicavano una notizia importante: il Consiglio superiore della sanità belga, l’estate scorsa, aveva già avvertito l’Agenzia per la sicurezza alimentare della tossicità del Fipronil. Ma l’agenzia non avrebbe organizzato controlli sistematici per rintracciare la presenza dell’insetticida nella catena alimentare. Ci sono voluti mesi prima che l’allarme arrivasse alla Rasff e mentre le uova contaminate già erano finite su quindici mercati europei, Olanda e Belgio hanno iniziato a rimpallarsi le responsabilità.
«Il sistema di allerta rapido è uno strumento che funziona ottimamente – avverte Sergio Veroli, vicepresidente di Federconsumatori con esperienza nella sicurezza alimentare – ma prevede regole uniformi tra gli Stati e ci sono almeno due buchi legislativi enormi che hanno consentito lo scandalo delle uova al fipronil». Primo: non in tutti i Paesi esiste la tracciabilità dei prodotti come avviene in Italia per le uova (i codici stampati sul guscio forniscono tutte le informazioni). Secondo: non esiste ancora una legislazione che preveda la tracciabilità dei prodotti di base con cui poi vengono confezionati alimenti più complessi, pensiamo per esempio alle uova nelle torte.
«È una battaglia che l’Italia e gli altri Paesi del Mediterraneo combattono da anni trovando però l’opposizione del Nord Europa – spiega Veroli – Purtroppo ancora non riusciamo a vincerla».
Il nostro Paese è da sempre al primo posto per numero di segnalazioni, segno di massima attenzione. Nel 2016 ne abbiamo inoltrate 417 quando altri Paesi come il Portogallo si sono fermati a 33. Anche Germania (369), Regno Unito (349) e Francia (194) viaggiano su grandi numeri, mentre i due Stati nel mirino per le uova all’insetticida, Belgio e Olanda, sono ferme a 129 e 287.
Il sistema è allenato. In questi anni ha dovuto affrontare crisi come quelle del vino al metanolo in Italia (1986), della mucca pazza (1995), dei polli alla diossina in Belgio (1999), della polvere di latte cinese contaminata (2008). Ma sono superati i tempi del fax o del telex, oggi tutti i membri sono parte di un sistema online costantemente collegato e operativo 24 ore su 24, sette giorni su sette.
Tuttavia la globalizzazione e l’industria alimentare di grandi dimensioni continua a mettere sotto pressione il sistema. Frutta e verdura, pesce, integratori alimentari, carni, cereali e semi sono le produzioni più fragili, soprattutto a causa dell’arrivo di prodotti asiatici. E all’orizzonte si profilano accordi internazionali di libero scambio come il Ceta con il Canada e il Ttip con gli Stati Uniti che pongono nuovi interrogativi. Reggeranno i nostri standard? Può un sistema come quello italiano, dove i controlli a monte sono tarati per ricercare 143.000 elementi chimici negli alimenti, ricevere prodotti canadesi dove gli elementi considerati a rischio sono appena 6?
«Sono domande lecite che mostrano notevoli differenze di approccio» dice Andrea Talai, presidente del laboratorio chimico della Camera di Commercio di Torino, referente nazionale per le etichettature alimentari.
Gli accordi di libero scambio hanno obiettivi diversi, industriali ed economici, non sempre in armonia con i rigidi protocolli italiani. Anche per questo, l’Unione delle Camere di Commercio sta pensando a un progetto nazionale che potrebbe aiutare a superare crisi come quella delle uova al fipronil. A settembre, proprio a Torino, s’incontreranno i responsabili dei laboratori chimici camerali. L’idea è quella di lanciare una certificazione per le aziende italiane che, partendo dal made in Italy, sia in grado di garantire l’intera filiera alimentare di un prodotto. Non ci sarebbero più triangolazioni che sfuggono al Rasff e tutti i prodotti sarebbero tracciati.
La Stampa – 13 agosto 2017