Il Sole 24 Ore, Marzio Bartoloni. Ci sono 25mila giovani medici specializzandi che potrebbero essere assunti nelle corsie degli ospedali alle prese con gravi carenze di personale tanto da dover ricorrere ai costosissimi gettonisti se non addirittura ai pensionati. Ma nonostante una norma già dal 2018 abbia previsto la possibilità di assumerli a tempo determinato con la possibilità di completare in ospedale il periodo di formazione ne sono stati impiegati finora circa 2500: in pratica solo uno su dieci.
Un grande spreco di risorse fresche da mettere in campo ora che ce n’è un grande bisogno : a frenare sono le università con le loro scuole che formano gli specializzandi che mettono mille paletti di fatto vietando a tanti giovani già dal terzo anno di corso di specializzazione di lavorare perché secondo i più critici gli atenei non vogliono «vedersi sottrarre manodopera a basso costo per produrre ricerca o pubblicazioni», come è stato ricordato nei giorni scorsi in una interrogazione in Parlamento al ministro della Salute Orazio Schillaci. Che in aula ha confermato il problema sottolineando come nonostante negli ultimi anni siano aumentati gli specializzandi «è stata riscontrata su tutto il territorio nazionale una scarsa partecipazione ai relativi concorsi». Ora quella norma introdotta cinque anni fa e sperimentata durante la pandemia è diventata anche strutturale (doveva scadere nel 2025) proprio grazie a Schillaci che ha introdotto la modifica nel decreto bollette approvato a fine marzo.
Ma cosa prevede concretamente la misura? Che già dal terzo anno di specializzazione (i corsi durano anche 5 anni) i giovani medici possono partecipare ai concorsi pubblici per titoli ed esami e, se idonei, inseriti in graduatoria separata da cui, se ci sono esigenze, possono essere assunti a tempo determinato e poi automaticamente a tempo indeterminato dopo il completamento della formazione. Il percorso è possibile in tutti gli ospedali della rete formativa della scuola di specializzazione che deve dare l’ok, ma anche negli altri ospedali a patto che l’università rediga un progetto formativo individuale da allegare al contratto di lavoro (servono almeno 6 ore di formazione a settimana). E qui nascono i problemi come ha fotografato l’Anaao giovani, il sindacato degli ospedalieri, che ha avuto conferma dal ministero dei soli 2500 specializzandi assunti finora e ha raccolto diverse delibere di università (tra queste Bologna, Siena,Perugia, Roma “La Sapienza”, Torino, Catanzaro e Sassari) contrarie a dare il via libera ai giovani medici che vogliono lavorare in un ospedale di un’altra Regione. «Oltre il 90% dei medici specializzandi – avverte Giammaria Liuzzi responsabile Anaao giovani – vogliono essere assunti come dirigenti medici in formazione in migliaia di ospedali del territorio e contribuire a risolvere la carenza di personale medico ed aumentare la qualità delle cure erogate. Purtroppo stiamo assistendo a dinieghi da parte delle università per l’assunzione extra regionale, nonostante la normativa sia chiara e non conceda loro alcuna discrezionalità decisionale, perché temono di perdere manodopera a basso costo in ospedali universitari in cui vi sono 8/10 specializzandi per posto letto. Occorre una azione legislativa volta ad automatizzare queste assunzioni».
Ma i paletti degli atenei non finiscono qui: «Ci sono scuole dove non si risponde alle mail con la documentazione necessaria per dare il nulla osta per i contratti in ospedali della rete formativa, oppure non si invia il piano formativo allo specializzando per completare il suo corso, insomma ci sono mille meccanismi di manleva e di pressione», avverte Samin Zedghi membro del coordinamento Als (Associazione liberi specializzandi) che chiede «un’autorizzazione automatica per lo specializzando che ha vinto il concorso e che entro 15-30 giorni deve poter andare a lavorare in ospedale».
Conferma le difficoltà Fabio De Iaco, presidente di Simeu, la Società di emergenza urgenza che rappresenta i pronto soccorso dove ci sono le carenze maggiori di camici bianchi e dove gli specializzandi farebbero molto comodo: «Le scuole di specializzazione stanno interpretando in modo sempre più rigido questa possibilità non dando troppe volte le autorizzazioni. Purtroppo c’è un atteggiamento di estrema lontananza rispetto alle esigenze del Servizio sanitario e pur riconoscendo il loro ruolo fondamentale dico che l’ossigeno serve ora altrimenti il nostro settore chiude, perché se mettiamo i paletti ai giovanni nessuno verrà in pronto soccorso. La teoria andrebbe concentrata nei primi due anni poi gli specializzandi dovrebbero girare per imparare sul campo», continua De Iaco. Che cita il caso della sua Asl a Torino: «Abbiamo fatto un bando per far lavorare in libera professione gli specializzandi e in tre hanno risposto con i titoli giusti. Ma l’università non ha dato il via libera perché erano del terzo anno e per loro si può cominciare a lavorare dal quarto».