Il dato rilevato da un’indagine su 151 strutture sanitarie italiane effettuata dal Censis. Più di un terzo dei dirigenti sanitari intervistati ha detto di essere a conoscenza di un episodio di corruzione avvenuto negli ultimi 5 anni e più di uno su dieci ha detto che la situazione non è stata affrontata in modo adeguato. Un focus del rapporto è dedicato agli sprechi nei beni e servizi non sanitari. In questo caso Ispe-Sanità ha valutato in almeno un miliardo di euro l’ammontare delle risorse che potrebbero essere recuperate con una gestione più efficiente. La corruzione si conferma un problema esiziale per il Ssn e costituisce un pesante freno in termini di efficienza, soprattutto a causa di una forte ingerenza del pubblico nel privato non sempre caratterizzata dalla massima trasparenza e per via delle infiltrazioni criminali all’interno delle strutture. Nel 37% delle aziende sanitarie italiane si sono verificati episodi di corruzione negli ultimi cinque anni, e in circa un terzo dei casi non sono stati affrontati in maniera appropriata. L’indagine
E’ quanto emerge dal rapporto ‘Curiamo la corruzione 2016’, promosso da Transparency International Italia in partnership con Censis, Ispe-Sanità e Rissc e presentato oggi a Roma.
E gli effetti, osserva lo studio, sono molteplici: “sui cittadini, che potrebbero aspirare a una maggiore qualità del servizio in alcune regioni o a un servizio della medesima qualità ma meno costoso in altre; sulle casse dello stato, che vedono disperdersi in piccoli o grandi rivoli corruttivi fino a 6 miliardi di euro all’anno; sul tessuto produttivo italiano che perde in innovazione e competitività”. Solo tra servizi per mensa, lavanderia e gestione dei rifiuti speciali, si contano sprechi per 1 miliardo di euro.
In questo senso, è emblematico un dato: per l’87,2% degli intervistati tra coloro che lavorano all’interno delle strutture sanitarie, la corruzione è percepita come una questione grave, addirittura per il 98,7% è uno dei principali problemi del Paese. Due terzi dei dirigenti sanitari contattati (il 67,6% del totale) ritengono che l’Autorità Nazionale Anticorruzione sia utile per prevenire e combattere il fenomeno, mentre il 32,4% teme un appesantimento della burocrazia a causa delle richieste di ANAC (45,2% al nord-est). Gli ambiti più a rischio sono le gare d’appalto (82,7%) e la realizzazione di opere (66,0%). La maggior parte dei dirigenti (66,7%) è convinta che ci sia la possibilità concreta che si verifichino episodi di corruzione nel loro ente e addirittura un ulteriore 10% sostiene che il rischio sia elevato. Il 37,2% del totale, negli ultimi 5 anni, ha rilevato episodi di corruzione.
Il progetto di Transparency Italia, prevede un’attività di ricerca sulle dinamiche corruttive nel settore della sanità italiana, suddivisa in tre macro azioni, in capo rispettivamente a Censis, RiSSC, e ISPE-Sanità:
• la rilevazione della percezione di corruzione da parte del personale apicale;
• l’analisi del livello di rischio corruzione nei processi di acquisto delle aziende sanitarie;
• l’individuazione degli indicatori di spreco nei conti economici delle aziende sanitarie.
La ricerca presentata oggi è stata costruita sulla base dell’analisi di dati raccolti presso tutte le strutture sanitarie pubbliche del Ssn soggette alla legge 190/2012, come le Aziende Sanitarie, le Aziende Ospedaliere, le Aziende Ospedaliere Universitarie, IRCCS, Ospedali classificati. I dati sono stati raccolti a cavallo tra il 2015 e il 2016 e provengono dai piani anticorruzione nella parte relativa ai contratti pubblici, da un questionario somministrato ai soggetti apicali e dai conti economici (CE) di tali strutture sanitarie. Nel complesso sono state coinvolte circa 250 realtà.
E quasi tutte le realtà radiografate dall’indagine (96,6%) rivelano di impegnarsi al massimo nella prevenzione e nel contrasto alla corruzione. Il 97,3% dichiara di essersi dotata di un Codice di comportamento dei dipendenti integrativo al Codice di comportamento dei dipendenti pubblici; il 92,6% ha predisposto un Regolamento per le procedure d’acquisto ai sensi dell’art.125 del Codice degli Appalti; il 91,6% ritiene che nella propria struttura si seguano procedure trasparenti per l’aggiudicazione degli appalti. E l’85,4% assicura che la propria azienda pratica una “whistleblowing policy”, cioè ha previsto procedure per la segnalazione di casi di corruzione e azioni a tutela dei dipendenti (whistleblower) che effettuano le segnalazioni di illecito.
Nota dolente riguarda, invece, l’assenza della prassi di attuare la rotazione di dirigenti e dipendenti che operano in posizioni a particolare rischio di corruzione: si tratta di una prassi prevista solo dal 54% delle strutture che hanno partecipato all’indagine. Allo stesso tempo soltanto il 25% degli enti sanitari ha individuato i rischi di corruzione per gli acquisti e le misure di prevenzione, mentre tre su quattro hanno adottato documenti vuoti o privi di strategie anticorruzione. Da segnalare poi che il 40% delle aziende sanitarie non ha svolto l’analisi dei rischi limitandosi ad un “copia-incolla” delle prescrizioni contenute nel modello messo a disposizione da ANAC, mentre il 34% ha svolto l’analisi dei rischi, circoscrivendola tuttavia all’individuazione di: aree organizzative, processi e attività e relativo grado di rischio individuato, senza prevedere delle possibili misure di contrasto o prevenzione.
Nel complesso l’indagine rivela che i cinque rischi più gravi per il Ssn consistono in: accordi preventivi tra i partecipanti ad una gara, soprattutto nella spartizione dei lavori in subappalto; definizione di esclusività di un servizio, che elimina la concorrenza a favore dell’impresa titolare del servizio o del bene; rimodulazione indebita del cronoprogramma in funzione delle esigenze o a vantaggio dell’appaltatore; la nomina di soggetti di parte nelle commissioni di gara per garantire un occhio di favore nella selezione del contraente; il comodato gratuito o la donazione di attrezzature, farmaci e dispositivi per generare maggiori consumi o spese non previste o non autorizzate.
All’interno dei piani anticorruzione i pericoli maggiori, invece, risiedono in: il rischio di accettare o richiedere varianti in corso d’opera per permettere all’impresa appaltatrice di recuperare, illegittimamente, lo sconto offerto in sede di gara; l’uso distorto del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa; l’adozione, nell’ambito del disciplinare, di condizioni tecniche od economiche o di altre specifiche che favoriscono di fatto un’impresa a scapito delle concorrenti; l’abuso dell’affidamento diretto; l’adozione di un provvedimento di revoca del bando strumentale all’annullamento di una gara, al fine di evitare l’aggiudicazione in favore di un soggetto diverso da quello atteso, ovvero al fine di creare i presupposti per concedere un indennizzo all’aggiudicatario. L’esame dei Piani anticorruzione, previsti dalla L. 190/2012, di 230 aziende sanitarie rivela però che nel 40% dei casi si sono limitate a un adempimento formale dell’obbligo di legge, non inserendo all’interno del Piano né l’analisi dei rischi di corruzione, né le misure di prevenzione, mentre il 33% ha svolto un’analisi parziale e solo una struttura sanitaria su quattro ha risposto in pieno al dettato normativo. Probabilmente anche per questo il 35% dei dirigenti sanitari ritiene che il Piano non impatti in maniera decisiva sulla diffusione della corruzione.
La parte del rapporto che si è concentrata suglie sprechi e inefficienze ha messo a fuoco quanto si potrebbe risparmiare nel campo dei beni e servizi non sanitari in 6 voci di spesa (pulizia, mensa, lavanderia, smaltimento rifiuti, cancelleria e guardaroba). In tutto, seocndo i ricercatori di Ispe-Sanità essi ammontano, per il 2013, a circa 493 milioni complessivi per le Aziende sanitarie locali (Asl) e 485 milioni per le Aziende ospedaliere (Ao). Nel complesso, quindi, si quantificano potenziali risparmi per 979 milioni di euro per le voci di spesa analizzate tra Asl e Ao.
Un’analisi più prettamente finanziaria mostra, infine, una riduzione generalizzata sia della spesa sia delle inefficienze, senza però alcuna inversione di tendenza per quanto riguarda il peso degli sprechi all’interno del totale speso. “Gli interventi di contenimento finanziario susseguitisi negli ultimi anni – conclude l’indagine – pertanto, sono stati finalizzati principalmente alla razionalizzazione lineare della spesa e non alla selezione delle voci inefficienti né alla riduzione delle relative sacche di spreco. In altre parole essi hanno avuto l’effetto di ottenere dei risparmi, ma non hanno saputo intervenire sulle disfunzioni gestionali dalle quali originano le inefficienze”.
L’Executive summary del Report
Gennaro Barbieri – Quotidiano sanità – 6 aprile 2016