Il Sole 24 Ore Giro di tagli alla spesa dei ministeri, il fondo per la delega fiscale nella speranza che un’adesione massiccia delle partite Iva al concordato spinga le entrate, gli interventi fin qui sempre futuribili sulle tax expenditures; e un nuovo negoziato con la commissione Ue, al netto della procedura per deficit eccessivo, già certa per l’Italia come per la maggioranza dei Paesi dell’area euro. Nelle sue linee fondamentali sta già prendendo forma, ma nella realtà operativa è ancora tutta da definire la cassetta degli strumenti con cui il Governo dovrà costruire la prossima manovra in un quadro di finanza pubblica che ora non lascia intravedere margini.
Alla luce del Def esaminato ieri l’orizzonte è dominato da due certezze. La prima è politica, riassunta dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nella rassicurazione che «intendiamo assolutamente replicare nel 2025 la decontribuzione in vigore quest’anno, è la priorità numero uno». La seconda è matematica, rappresentata da un debito/Pil in salita anche senza i 10 miliardi circa che servono a rinnovare il taglio al cuneo fiscale, i 4,3 necessari a confermare l’Irpef a tre aliquote e gli altri fondi indispensabili a finanziare una manovra complicata da limitare sotto i 20-25 miliardi totali.
In conferenza stampa il titolare dei conti ha spiegato che «ovviamente stiamo pensando come si possa ulteriormente andare in direzione dei tagli di spesa», il suo vice Maurizio Leo ha rilanciato il concordato preventivo come leva per alimentare il gettito da girare alla riduzione delle tasse. Ma numeri alla mano, e al netto di misure importanti al momento non ipotizzate, la variabile chiave sarà nella definizione con Bruxelles di un piano in grado di lasciare qualche spazio ai nuovi interventi senza mancare l’obiettivo di riduzione del debito a medio termine. Anche se il lavoro sui crediti d’imposta potrebbe non essere finito, ha lasciato intendere ieri Giorgetti: nelle scorse settimane a livello tecnico si è ipotizzata la replica della spalmatura in 10 anni dei bonus da 110%, già introdotta per il 2022, che potrebbe dare una piccola mano al debito di questo triennio. Si vedrà.
Molto in ogni caso dipenderà dalla prima prova sul campo delle nuove regole Ue. Le incognite sono ancora molte, e questo giustifica anche la scelta di limitarsi nel Def alla mera descrizione delle dinamiche tendenziali rimandando la definizione degli obiettivi programmatici. Scelta comune ad altri Paesi dell’Eurozona e concordata con la Commissione, come confermato ieri dallo stesso Esecutivo comunitario tramite una portavoce. Per il Governo il Def “leggero” serve anche a evitare incertezze sui mercati, dove peraltro il Tesoro sta per riaffacciarsi con una nuova offerta retail come anticipato ieri dal sottosegretario Federico Freni al question time. Ma da Bruxelles sono arrivate nelle scorse ore anche aperture più sostanziali, che offrono qualche speranza in una partita comunque ancora tutta da giocare: «Le finanze italiane sono state praticamente dominate dal Superbonus», in particolare nella parte finale del 2023, ma «si è trattato di qualcosa di limitato nel tempo e ora inizierà il lavoro, come per tutti gli altri Paesi, per mettere i conti in ordine», come ha spiegato un funzionario della Commissione in vista dell’Ecofin del 12 aprile. Parole che non sembrano prospettare barricate sui conti.