«Il valore legale del titolo di laurea è un unicum nel mondo accademico internazionale. Si tratta di una categoria filosofica con qualche risvolto pratico e di questi vale la pena discutere»
Ce ne sono tre. Il primo è costituito dal fatto che spesso nei contratti collettivi di lavoro, soprattutto per il settore pubblico, il conseguimento della laurea attiva un passaggio automatico di carriera o di livello retributivo. Non sorprende che in numerose facoltà e corsi di laurea si incontrino studenti avanti negli anni. Studenti che frequentano e sostengono esami nell’obiettivo di una laurea triennale da far valere per gli avanzamenti di posizione.
Il secondo è costituito dal fatto che spesso i concorsi pubblici hanno come prerequisito, per certe carriere, il possesso di una laurea; con un subalterno che in qualche caso è richiesto, per l’ammissione al concorso, un voto minimo di laurea.
Il terzo è che nei concorsi pubblici per titoli ed esami – ai quali si acceda solo con una laurea – spesso il voto di laurea costituisce titolo il cui peso nella valutazione complessiva dei titoli del candidato è a volte fissato dal bando di concorso, altre volte lasciato alla discrezionalità della commissione.
Nel settore privato, invece, il possesso della laurea e il voto di laurea costituiscono solo un indicatore che l’impresa considera nelle scelte di assunzione.
Primi commenti. Sembra assai poco logico, oltre che molto inefficiente, che l’acquisizione di una laurea comporti automaticamente uno scatto di carriera o di retribuzione, mentre non c’è nulla di illogico che per l’accesso a certe posizioni o carriere nella pubblica amministrazione venga richiesta una particolare laurea. Restano da chiarire le questioni sull’utilizzo del voto di laurea come criterio per l’ammissione a prove d’esame di un concorso, oppure come titolo per il computo del punteggio che determina i vincitori di concorso. Tali questioni sono relative alle difformità degli ordinamenti nelle singole università che poi rilasciano titoli formalmente identici. E’ esperienza comune che i voti di laurea, anche per singoli indirizzi di studi o facoltà, siano tra di loro difficilmente confrontabili. Nella facoltà di economia dell’universitàX solo il 5 per cento degli studenti arriva al 110 e un altro 10 per cento si colloca tra il 100 e il 109. Nella stessa facoltà dell’università Y le percentuali sono del15 e del 20 per cento. E’ molto improbabile che gli studenti di Y siano mediamente più intelligenti e preparati degli studenti di X. Il problema sono i professori, le tradizioni e le usanze: nell’università Y il sistema è più generoso. Lo stesso studente nelle due università X e Y avrebbe due voti di laurea molto diversi tra di loro.
Non è grave se lauree rilasciate da università diverse vengono trattate allo stesso modo, quando costituiscono solo un requisito per l’accesso al concorso. Un po’ più serio è il problema quando l’accesso a un concorso è condizionato dal possesso di una laurea con un voto minimo (per esempio
superiore a 99/110). In questo caso un bravo, ma non eccellente, studente dell’università X non può accedervi mentre un suo coetaneo di pari preparazione dell’università Y, che magari ha conseguito la laurea con il voto di 108/110, può accedervi.
E opportuno continuare ad utilizzare il voto di laurea come titolo per concorsi? Questo aspetto è il cuore della proposizione «valore legale del titolo di laurea» che si basa sull’assioma amministrativo secondo cui le università italiane sono dei doni uniformi di un modello fissato dalla legge. Ma è evidente che questo principio è del tutto infondato e le statistiche lo dimostrano. L’utilizzo del voto di laurea come titolo pergiudicare l’idoneità o le capacità di laureati provenienti da università diverse può generare disparità di trattamento perché attribuisce lo stesso peso a contenuti formativi potenzialmente molto diversi. Sarebbe come far pagare una uguale imposta sul reddito a soggetti che hanno un reddito diverso.
Per rimuovere gran parte del «valore legale» è quindi sufficiente, per iniziare, vietare l’utilizzo del voto di laurea come titolo (o ridurne al minimo il peso) e vietare avanzamenti di carriera per effetto della sola acquisizione della laurea.
di Piero Giarda – Ministro per i Rapporti con il parlamento
Il Messaggero – 1 febbraio 2012