La recente intesa sul pubblico impiego tra governo e sindacati elimina la misurazione relativa della performance introdotta dal ministro Brunetta. Peggio ancora: si prevede di non valutare i singoli lavoratori ma solo le strutture. Colpisce, poi, il modo fumoso e inefficace di incentivare i dirigenti dai quali dipende il buon funzionamento degli uffici. II solito accordo perverso che ha rovinato il settore pubblico italiano: tante assunzioni, pochi soldi dati a tutti, buoni o cattivi.
«I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione». Lo dice l’articolo 98 della Costituzione. Proteggere questi lavoratori contro ogni ragionevole controllo della loro produttività danneggia i cittadini, soprattutto quelli meno abbienti. L’insegnante di inglese che fa male il suo mestiere priva gli studenti poveri di una dote per trovare un buon lavoro: per i ricchi ci sono le vacanze all’estero. Il dipendente assenteista dell’Asl non crea problemi a chi si può permettere l’assistenza medica privata. Di tutto questo non c’è traccia nella recente intesa sul pubblico impiego tra Governo e sindacati in cui i consumatori non sono stati rappresentati (come mai ancora concertazione?). Colpisce innanzitutto il modo fumoso e inefficace di incentivare i dirigenti dai quali dipende il buon funzionamento delle strutture. Bastava eliminare la responsabilità erariale del capo ufficio se il giudice decide l’illegittimità di un licenziamento. Oggi nessun dirigente prova a licenziare, per timore di dover rimborsare allo Stato l’indennizzo che venisse riconosciuto dal giudice al dipendente. Occorreva dare attuazione alla norma che, come in Gran Bretagna, prevede l’assunzione di dirigenti solo con l’indicazione precisa di «obiettivi Smart» (specific, measurable, achievable, realistic, timely, cioè specifici, misurabili, ra :: fungibili, realistici, limitati nel tempo) da ra:: fungere per il miglioramento delle strutture, e con revoca dell’incarico in caso di mancato raggiungimento (art. 21, decreto legge n. 165/2001). Misure semplici ma accuratamente evitate nell’intesa. C’è di peggio: la valutazione delle strutture non deve essere cogestita dalla dirigenza con il sindacato, come raccordo prevede. Incredibile: i valutandi che valutano se stessi! Grazie a intemet, oggi la vera valutazione passa attraverso la trasparenza totale (full disclosure) di ogni indicatore del funzionamento degli uffici, inclusa la performance dei singoli dipendenti che (fatto noto a pochi) non è so :setta a tutela della riservatezza, (art. 19, Codice Privacy; art. 4, h, L 15/2009). Stupisce poi che il governo abbia accettato di utilizzare pesi e misure diverse per i dipendenti pubblici e privati. Sulle eccedenze del personale, l’intesa non dice nulla. Per forza poi la spesa pubblica è intoccabile e si possono solo aumentare le imposte! Basterebbe invece applicare l’articolo 33 del testo unico: il personale eccedentario deve essere collocato in mobilità (con l’8o96 dell’ultima retribuzione) e deve accettare obbligatoriamente il trasferimento alle amministrazioni che possono utilizzarlo (anche in altro dicastero). E se entro due anni il trasferimento non avviene, il rapporto cessa e si attiva, come nel privato, il sussidio per i disoccupati. Per quale motivo ciò che vale per un metalmeccanico non dovrebbe valere per un dipendente comunale o statale? Riguardo alle retribuzioni, l’intesa elimina la misurazione relativa della performance introdotta dal ministro Brunetta: premi diversi per il 25% migliore, per il successivo 50%, e infine nessun premio per il 25% peggiore. Si possono discutere i parametri specifici, ma questo tipo di valutazione è utile anche perché tutela i lavoratori stessi dalla possibilità di non essere premiati per cause indipendenti dal loro comportamento. Se un medico fallisce una terapia difficile, potrebbe non esser colpa sua, ma della difficoltà del caso. Se però confrontiamo medici con casi simili, le differenze di risultato non possono che dipendere dai loro meriti individuali. L’intesa non solo rimuove questo criterio relativo di premialità, diffuso nel privato. ll peggio è che prevede di non valutare i singoli lavoratori ma solo le strutture. Ossia, detto in soldoni, il solito accordo perverso che ha rovinato il settore pubblico italiano: tante assunzioni, pochi soldi dati a tutti, buoni o cattivi, zero rischio di perdere il lavoro anche per i peggiori. Questo non vuol dire «non fare valutazione dei singoli»: vuol dire fare una valutazione molto precisa che premia proprio i singoli che in ciascuna struttura fanno meno per migliorare l’efficacia del servizio. Tanto chi ci perde, sono solo i cittadini.
Corriere della Sera – Alberto Alesina e Andrea Ichino