Indietro non si torna. Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini lo aveva promesso alle famiglie e agli studenti alla vigilia delle elezioni europee e lo ha ribadito ieri ai rettori che pure, nei mesi scorsi, avevano espresso forti perplessità in merito. Basta con i test di accesso a Medicina.
Basta con la selezione dei futuri medici basata su una batteria di domande in alcuni casi del tutto incongrue con la valutazione delle attitudini e della preparazione degli aspiranti camici i bianchi. Dal 2015 si cambia. Primo anno aperto a tutti con sbarramento finale: un modello ispirato all’attuale sistema francese. E pace per l’onda d’urto che rischia di travolgere i nostri atenei se tutti quelli che finora tentavano il test (65 mila ad aprile scorso per 10 mila posti) dovessero trasformarsi in matricole. Secondo Giannini l’impatto di questo tsunami potrebbe essere ridimensionato spalmando gli studenti sui corsi di laurea affini. «Ministro e tecnici del ministero- spiega il rettore di Padova Giuseppe Zaccaria – lavorano all’ipotesi di un primo anno comune che raggruppi medicina, farmacia e biotecnologie consentendo così di assorbire un numero di iscritti ben superiore a quello attuale del corso di laurea in medicina». Durante questo primo anno agli studenti verrebbero impartiti solo alcuni insegnamenti di base comuni a questi indirizzi (chimica, fisica, biologica…) in modo che poi al second’anno i ragazzi possano essere smistati nei diversi corsi di laurea . Rispetto a quanto già detto in precedenza, al tavolo dei rettori ieri il ministro ha avanzato l’ipotesi di anticipare lo sbarramento: non più alla fine del primo anno come ipotizzato dapprincipio, ma già dopo sei mesi. «Le mie riserve principali rispetto a questo modello sono due. Per quanto riguarda l’ipotesi di un tronco comune alle diverse lauree mediche, io non sono affatto convinto che la fisica che serve ai medici sia la stessa che serve agli infermieri. Quanto poi al sistema di selezione dei ragazzi, temo che affidarsi a degli esami universitari anziché a dei test “ciechi” esponga i docenti a una serie di pressioni indebite». Perché il sistema attuale, pur con tutti i suoi difetti, si reggeva sull’anonimato (anche se poi quest’anno i giudici del Tar hanno riscontrato gravi vizi procedurali e di conseguenza ordinato la riammissione di 2.000 studenti che non avevano passato i test). Magari si lasciava sfuggire qualche studente che invece avrebbe meritato di passare ma, quel che è certo, serviva a sbarrare la strada a chi non lo meritava. Mentre gli esami orali si trasformerebbero inevitabilmente in un mercanteggiamento per mandare avanti questo o quel ragazzo, indipendentemente dalle sue qualità.
I dubbi sui numeri e il test psicologico al quarto anno di superiori
Roberto Lagalla, vice presidente della Crui con delega alla Medicina, ci tiene a sottolineare che l’incontro di ieri, si è svolto in un clima di grande collaborazione. Si trattava del resto di una riunione politica, non tecnica, in cui le anticipazioni fatte dal ministro Giannini ai rettori non si sono formalizzate in una proposta operativa che è ancora tutta da definire. Ma ammette che «le nostre obiezioni logistico-numeriche restano in piedi e il ministro ne è perfettamente consapevole». Ci tiene a ridimensionare il rischio di un’iscrizione di massa a Medicina. «Iscriversi all’università – spiega – non è come tentare un test. Quindi il numero di 65.000 andrebbe depurato da chi tenta la sorte senza un’autentica motivazione». Restano però numeri importanti di difficile gestione da parte di rettori e atenei. Per questo Lagalla, come pure Zaccaria, vorrebbero comunque mantenere una qualche forma di preselezione all’ingresso. «Il ministro non vuol sentire parlare di test? Potremmo allora affidare alle scuole il compito di orientare e selezionare i ragazzi che vogliono fare medicina già dal quarto anno delle superiori in modo da fare una prima scrematura», dice Zaccaria. Ma su questo, Lagalla ammette che non c’è coincidenza di vedute con il ministro Giannini.
In Francia la selezione a fine anno è durissima: passa uno su cinque
Due piccole note a margine dell’incontro rettori-ministro. Primo: la fine dei test e l’adozione del sistema francese è stata salutata dagli studenti come una vittoria nella battaglia per il diritto allo studio. Ma i ragazzi devono sapere che in Francia pochissimi studenti passano la ghigliottina alla fine del primo anno, appena 2 su dieci, e anzi, nelle università più prestigiose, come per esempio Montpellier, solo l’8,9% dei ragazzi accede al secondo anno. Secondo: ma siamo sicuri che i test non si potessero migliorare? Quello che molti non sanno infatti è che, da quando il test è diventato nazionale e non più locale, le domande non sono redatte dagli esperti del ministero ma da un’agenzia di Cambridge sicuramente titolatissima ma necessariamente distante dal curriculum di studi dei ragazzi italiani. «In questi anni – dice Zaccaria – abbiamo offerto a più riprese ai precedenti ministri di migliorare la qualità dei test sottraendoli all’agenzia esterna che li elabora. Ma nessuno ci ha voluto dare ascolto». Fino all’arrivo della Giannini che ha scelto di tagliare la testa al toro: i test non funzionano? E allora, eliminiamoli del tutto.
29 agosto 2014 Corriere.it