Gianni Rezza, ex direttore della Prevenzione al ministero della Salute, ora professore straordinario di Igiene all’Università San Raffaele di Milano, non vede pericoli nel boom di polmoniti in Cina, ma lancia l’allarme per Natale quando si sommeranno il picco del Covid con quello dell’influenza. Con i fragili non vaccinati per errori nella logistica e cattiva organizzazione.
Rezza, in che misura dobbiamo preoccuparci di questa ondata di polmoniti in Cina?
«Diciamo subito che dopo quanto accaduto con il Covid vorremmo avere dalla Cina dati più dettagliati. Premesso ciò, in base alle informazioni che abbiamo l’allarme non c’è perché parliamo di un batterio, il Mycoplasma pneumoniae, che è sempre circolato anche da noi e che genera quelle che noi chiamiamo “walking pneuomonia”, la polmonite che passeggia, perché raramente porta al ricovero. E poi se ci fosse un batterio o un virus nuovo si ammalerebbero tutti, invece vediamo che le polmoniti si stanno diffondendo soprattutto tra i bambini».
Come mai?
«Perché la Cina è stata in lockdown fino solo a un anno fa e lì, nel bene e nel male, la quarantena era una vera e propria reclusione. Quindi è plausibile la spiegazione che loro danno, ossia che la maggiore circolazione di questo batterio sia dovuta al fatto che i più piccoli sono venuti su senza mai incontrarlo, diventando così suscettibili a contrarre le infezioni».
Però anche in Francia si è avuto un aumento del 34% delle polmoniti tra i bambini.
«Se è per questo anche in Olanda. Ma chi cerca trova e i sistemi di sorveglianza, allertati dopo le notizie dalla Cina, stanno scoprendo casi che sarebbero rimasti nascosti. Un aumento delle polmoniti, così come di bronchioliti da virus sinciziale tra i più piccoli, è possibile che si verifichi anche da noi. Anche se credo in misura minore, perché in Italia le misure di isolamento sono finite prima ed erano comunque meno rigide».
Come si cura questa forma di polmonite batterica?
«Con normali antibiotici della famiglia delle tetracicline, come la doxicilina, o del gruppo dei macrolidi, come la claritromicina, l’eritromicina o l’azitromicina».
Si dice però che il Mycoplasma pneumoniae sia resistente ad alcuni tipi di antibiotici…
«Poiché le polmoniti che genera portano raramente all’ospedalizzazione, non è tra i più studiati per le antibiotico-resistenze. Può essere che abbia sviluppato qualche forma di resistenza verso l’azitromicina, della quale i No Vax hanno fatto uso improprio durante la pandemia, ma esistono comunque molte alternative terapeutiche per tenere sotto controllo queste polmoniti batteriche».
Come siamo messi invece con il Covid?
«Ne gira parecchio. Lo dicono i dati ufficiali, anche se ampiamente sottostimati, e lo si percepisce solo guardandosi intorno. Sapevamo che con il primo vero freddo avrebbe rialzato la testa, come fanno tutti i virus respiratori. L’importante è che non faccia troppi danni. Omicron ha una virulenza minore rispetto a Delta, però tra persone debilitate, anziani soprattutto se più in là con gli anni e immunodepressi può fare ancora danni seri quando si è persa la protezione del vaccino. Per ora registriamo un lento aumento delle ospedalizzazioni, ma la situazione potrebbe peggiorare se i contagi continueranno ad aumentare e le vaccinazioni non decolleranno».
Perché finora la campagna vaccinale è stata un flop?
«Per tre ordini di motivi. Il primo è la stanchezza vaccinale, subentrata per via del fatto che non essendo il Covid un virus stagionale come l’influenza ha costretto a fare più somministrazioni in corso d’anno. Poi ci sono stati problemi non risolti di logistica che hanno fatto arrivare in ritardo le fiale in diverse regioni, che a loro volta non hanno stipulato o lo hanno fatto in ritardo gli accordi per le vaccinazioni in farmacia. Ed è chiaro che, se uno è già indeciso e poi trova anche degli ostacoli, finisca per tirarsi indietro. Terzo, ogni fiala contiene sei dosi e questo richiede ai medici di famiglia di organizzare gruppi di pazienti per non sprecare i vaccini. Si sarebbe dovuto passare alla chiamata attiva dei più fragili ma non è andata così».
Il monitoraggio settimanale dell’Iss va ancora bene o si potrebbe fare di meglio?
«Il registro di sorveglianza dei dati sottostima i contagi perché si basa sui test che non fa quasi più nessuno. Bisognerebbe passare anche per il Covid, come si fa per gli altri virus, al sistema di rilevazione dei medici sentinella. Purché ci sia una buona adesione da parte dei medici stessi. E per questo c’è ancora da lavorarci su».
Anche di influenza ne gira molta?
«In realtà no perché tosse e mal di gola che osserviamo in giro questi giorni sono provocati soprattutto da rinovirus e altri virus parainfluenzali. L’ondata di influenza arriverà più tardi, probabilmente dopo Natale. Il problema è che potrebbe sommarsi al picco del Covid, con il rischio di ingolfare i pronto soccorso e i reparti ospedalieri».
Cosa bisognerebbe fare per evitare che ciò avvenga?
«Ovviamente vaccinare la popolazione più a rischio. Poi a costo di essere impopolare dico anche di consigliare ai più fragili l’uso delle mascherine in situazioni di promiscuità. Non da ultimo andrebbe chiesto ai medici di famiglia uno sforzo per tenere aperti più a lungo i loro studi, mentre le ex guardie mediche dovrebbero fare più visite a domicilio. So che i medici sul territorio sono sotto organico ma in questo momento serve uno sforzo collettivo».
La Stampa