Può un cavallo diventare manzo? Per incredibile che sembri, sì. E’ successo. Almeno in tavola. Dalla sua esperienza di presidente dell’Osservatorio di Coldiretti sulle agromafie, Gian Carlo Caselli ha tirato fuori un libro C’è del marcio nel piatto, scritto a quattro mani con Stefano Masini, ed edito da Piemme, per dare ai consumatori la possibilità di esercitare quella che, da magistrato, definisce una “legittima difesa” al supermercato e a tavola.
“Per la liberalizzazione del mercato anche a livello europeo e per gli scarsi controlli operati in altri paesi, diventa più difficile seguire il percorso dal campo alla tavola. Così può accadere che un cavallo allevato in Romania (grazie alla trasmissione di dati falsi registrati da società di comodo con sede a Cipro) attraverso intermediari olandesi si presenti in polpette trasformate in Francia, per conto di una società svedese che utilizza il prodotto per sughi e preparati che finiscono sui nostri scaffali con le marche più note. Un percorso da capogiro”.
Dunque è la filiera lunga il terreno fertile in cui proliferano le trappole e in cui entrano in gioco le agromafie?
“L’agroalimentare è un settore che tira. Un formidabile fattore di traino è il made in Italy. Tira ma nello stesso tempo attira. Anche soggetti border line fino ai mafiosi. Da sempre le mafie preferiscono gli affari illeciti lucrosi a bassa intensità espositiva. Il cibo è un brodo di coltura ideale: si guadagna tanto e si rischia poco. Perché il sistema vigente è una specie di lotteria che di fatto garantisce ricchi premi e sostanziale impunità persino per gravi malefatte. Più che una diga, la normativa vigente è un colabrodo, con tutti i suoi buchi. Di qui un’inquietante estensione della mafia nel settore agroalimentare con un fatturato complessivo di quasi 22 miliardi di euro che ogni anno cresce del 10 per cento”.
Regole e controlli in Italia sono adeguati?
“I controlli sono tra i migliori in Europa, ma le regole sono ferme a quando l’unico problema era quello dell’oste che mescola l’acqua con il vino. Il ministro Orlando ha istituito una commissione per la riforma che ha elaborato un progetto che è stato approvato con un anno di ritardo e trasmesso alle Camere soltanto il giorno dopo lo scioglimento. Come se qualcuno si fosse messo di traverso. Magari qualcuno cui regole finalmente efficaci danno l’orticaria”.
Insomma, cosa c’è di marcio nel piatto degli italiani?
“Molti sono gli alimenti buoni, ma molte anche le schifezze. Il marcio deriva dalle frodi e contraffazioni che sono diventate una vera industria con effetti deleteri sulla sicurezza alimentare, una certa frattura fra nutrizione e salute e una crescente diffusione di patologie legate all’aumento di peso. Sono tutte declinazioni del marcio nel piatto”.
La gente si chiede: ma ci si può difendere? E come?
“Attenzione alla pubblicità occulta o subliminale. Attenzione al disordine ‘organizzato’ con cui i prodotti vengono offerti sugli scaffali. Attenzione alle etichette. Quello del consumatore non è un mestiere facile”.
Ed eccoci allora all’etichetta. Cosa garantisce effettivamente?
“L’etichetta dovrebbe raccontare proprio tutto quel che serve per sapere che cosa effettivamente si mangia o si beve. Invece ci sono ancora molti misteri, come quello dell’origine. Per i prodotti trasformati (ad esempio salumi e succhi di frutti) non risulta che il Paese indicato – invece di essere quello in cui si è allevato l’animale o coltivato la pianta – è quello dell’assemblaggio industriale degli ingredienti”.
Supermercati o piccole botteghe? Panino libero o mensa scolastica?
“Per la vendita dei prodotti imballati supermercati e piccole botteghe pari sono. Il panino preparato dalla mamma a casa va riscoperto per il valore sociale della scelta. Non va bene obbligare al pasto in mensa qualora sia organizzato con le regole del massimo ribasso, ché spingono verso i prodotti di minore qualità”.
Chilometro zero e street food. Sono davvero armi efficaci?
“L’agricoltura di prossimità consente di mangiare meglio e in modo sostenibile. Il suo crescente successo è legato al rapporto di fiducia che il consumatore torna ad instaurare con l’agricoltore chiedendo di conoscere luoghi e stagioni di produzione e magari visitando l’azienda. Accorciare la filiera significa portare la campagna dentro la città e favorire la disponibilità di prodotti di cui avevamo dimenticato odori e sapori antichi”.
Repubblica – 16 maggio 2018