Il progetto è partito dal blog Nuvola del lavoro ( nuvola.corriere.it ) per fotografare la geografia del lavoro italiano. Ora è diventato un ebook che la ricercatrice Camilla Gaiaschi ha appena pubblicato per i Quaderni della Fondazione Feltrinelli. L’idea risente dell’interesse accesosi attorno alla ricerca sugli States condotta da Enrico Moretti, docente a Berkeley, e pubblicata da noi nel 2013 con il titolo «La nuova geografia del lavoro».
Il tema è di grande attualità perché la mobilità del lavoro è in clamorosa accelerazione e gli italiani non fanno eccezione. Ci si sposta più di prima e anche la fotografia di questa corsa a inseguimento rischia di essere sfocata. Le conclusioni a cui arriva Gaiaschi possono essere sintetizzate così: a) si impenna il numero degli italiani che espatriano e Londra è la metà più attrattiva; b) cala la quantità di stranieri che arrivano da noi e l’Italia è stazione di transito; c) all’interno del Paese aumenta la propensione a cambiare città, ma non sono le grandi industrie a fare da calamita bensì i territori a vocazione innovativa.
Da emigrante a expat
I numeri dicono che dal 2007 al 2013 i trasferimenti verso l’estero sono aumentati fino a 125 mila unità annue, più del doppio rispetto ai 15 anni precedenti e due terzi riguardano cittadini settentrionali. Negli anni ’90 a partire erano i giovani meridionali, il trend poi si è rovesciato con il riprendere dei flussi interni da Sud verso Nord. Londra conta ormai 221 mila italiani (più di Padova) residenti nella circoscrizione, segue Parigi con 130 mila e Bruxelles con 93 mila. In crescita Shangai, che in quattro anni ha visto aumentare gli expat italiani da 900 a 2.800 e Dubai passata da 2.300 a 4.900. Gaiaschi scrive però che i dati ufficiali sottostimano il fenomeno perché non tutti si iscrivono all’Aire, l’anagrafe degli italiani all’estero. Lo fa uno su due.
Il nuovo italiano mobile, l’ expat , fugge da un Paese che «non premia il merito», uno su quattro è laureato e figura tra i più brillanti, ha finito più velocemente e con voti migliori. Pochi svolgono un lavoro manuale o subalterno mentre la percentuale di post-dottorati e ricercatori è alta: l’Italia investe in formazione a vantaggio di altri. Esistono però esempi di emigrazione differente. I creativi a Berlino, i camerieri sempre a Londra sono giovani che pur avendo investito nella formazione ora sono disposti a trasferirsi all’estero e a fare lavoretti (che in Italia non farebbero) pur di inseguire i sogni.
Terra di transito
I residenti stranieri in Italia secondo i dati Istat sono 4,9 milioni più un milione di irregolari. La massima affluenza di stranieri data 2007, rispetto ad allora siamo a -43%. E anche il 2013 ha fatto registrare almeno -40 mila unità rispetto al 2012. L’Italia oltre a rappresentare una meta meno ambita ha iniziato a conoscere un altro fenomeno: molti stranieri residenti preferiscono andarsene all’estero. Sono stati 44 mila nel 2013, quattro volte più che nel 2007. Tornano nei Paesi di origine o vanno in un Paese terzo dove le opportunità di lavoro sono maggiori e il sistema di welfare appare più inclusivo. Partono da città come Brescia, che pure avevano attratto migliaia di operai emigrati.
L’Italia quindi si configura come territorio di transito, con un’eccezione: chi non riesce a conquistare il Nord Europa scende nel nostro Sud alla ricerca di un lavoro stagionale nell’agricoltura. Del resto solo il 6% degli stranieri residenti in Italia ha una professione qualificata e in media guadagnano meno dei nostri connazionali. Sorprendentemente il tasso di occupazione degli stranieri (58,5%) è più alto di almeno 3 punti e si spiega con un impiego anagraficamente precoce e l’assenza di pensionati. Cresce significativamente il numero degli imprenditori stranieri.
Su e giù per lo Stivale.
In 15 anni il Sud ha perso 1,3 milioni di persone, per avere un termine di paragone tra il ’55 e il ’70 la storica e irripetibile migrazione interna era stata di 3 milioni. A questi numeri va aggiunto il fenomeno del pendolarismo a lungo raggio, circa 140 mila migranti provvisori che non cambiano residenza anche perché non hanno un’occupazione stabile. Oltre ai meridionali, la mobilità interna si alimenta di due nuovi driver , gli stranieri e le donne. Ormai gli spostamenti dei primi rappresentano il 18% del totale, vuoi perché sono meno radicati, hanno meno scelta e non vogliono perdere il permesso di soggiorno. Le donne mobili hanno superato la quota del 50%: se una volta emigravano per seguire marito o compagno, oggi sono più autonome nella decisione di trasferirsi e sempre meno al «seguito di».
Un discorso a parte merita Milano. Perde abitanti nei confronti della propria provincia, ma ne guadagna verso il resto d’Italia. Il fenomeno riguarda anche Torino, Roma e Bologna, ma Milano resta il polo di attrazione per eccellenza per chi viene da fuori. La decisione di lasciarla verrà dopo, in virtù di un sistema di trasporti efficiente e della capacità di «arbitrare» i prezzi tra città e hinterland.
Infine una correlazione che Gaiaschi sostiene è quella tra densità territoriale delle start up e migrazioni interne. «Gli hub caratterizzati da alto capitale umano e collegati alle università sono fortemente attrattivi». E se una volta c’era il triangolo industriale ora spunta quello dell’innovazione: Milano- Bologna-Trento.
Il Corriere della Sera – 19 luglio 2015