Un taglio di oltre il 10% alla spesa non sanitaria delle Regioni: 2,7 miliardi di euro, per il 2017, su poco più di 20 miliardi, quasi interamente destinati a spese di carattere «obbligatorio», come quelle per il personale e il trasporto pubblico locale. La sforbiciata viene da lontano, dalla legge di Stabilità dell’anno scorso, ma la speranza dei governatori di vederla in qualche modo compensata con la nuova manovra di bilancio sta svanendo. Il testo della legge di Bilancio approvata sabato ancora non c’è, ma i contatti informali avviati con l’esecutivo non lasciano speranze.
Il taglio, magari un po’ più leggero, ci sarà, e quasi tutte le Regioni, a quel punto, avranno enormi problemi a predisporre i bilanci del prossimo anno. Con il rischio di una nuova sforbiciata sulla spesa sociale, l’unica che rientra nell’ambito discrezionale. Alla quale, per giunta, verrebbero a mancare anche i fondi, 70 milioni di euro, per l’assistenza e il trasporto delle persone con handicap, che era di competenza delle vecchie Province e che, trasferita alle Regioni, è stata finanziata per il 2016, ma solo «una tantum».
I 2,7 miliardi, più che un vero e proprio taglio, rappresentano l’avanzo di bilancio che le Regioni dovranno garantire allo Stato, che l’assorbirà, per il 2017. Per i governatori cambia poco, sempre soldi in meno sono. L’avanzo che era stato loro imposto per il 2016, 2,2 miliardi di euro, è stato di fatto compensato dalla rinuncia all’aumento del Fondo sanitario, che invece, nel 2017 salirà di 2 miliardi, ma tutti vincolati: 800 milioni per finanziare i nuovi Livelli essenziali di assistenza, 500 per i farmaci oncologici, 250 per quelli contro l’epatite C, altri 250 per la stabilizzazione dei precari e i rinovi contrattuali di medici e infermieri. Avanzerebbero 200 milioni, ma le Regioni a statuto ordinario dovranno anche girare la bellezza di 500 milioni, nel 2017, a quelle a statuto speciale. Che hanno protestato contro il taglio del Fondo sanitario dell’anno scorso deciso dal governo centrale, hanno ottenuto ragione per via della loro autonomia, e vanno risarcite.
I margini per compensare almeno in parte quei 2,7 miliardi sono esigui. Si potrebbero utilizzare 700 milioni del fondo per la ristrutturazione degli indebitamenti regionali e 1,2 miliardi di quello per la anticipazioni di liquidità per pagare le fatture arretrate dei fornitori, che non sono stati usati. Di questa somma, però, 400 milioni il governo vuole destinarli ai Comuni. Senza contare che quei fondi sono di cassa, e i bilanci regionali si fanno per competenza. I governatori sperano che la partita non sia chiusa, e attendono con preoccupazione il testo definitivo della manovra.
Il governo ha corretto il Documento inviato lunedì a Bruxelles, ridefinendo nello 0,4% del prodotto l’importo delle spese eccezionali per il sisma e l’immigrazione, indicate prima allo 0,5% del Pil. Ma il testo della manovra non è ancora stato inviato in Parlamento, come quello del decreto fiscale con la rottamazione delle cartelle e la ridefinizione del ruolo di Equitalia. Nel decreto si conferma la riforma degli studi di settore dal 2017, sostituiti dagli «indici di fedeltà fiscale», con un premio per i contribuenti più «affidabili»: per loro meno controlli e rimborsi più veloci. Dagli studi riformati saranno escluse alcune categorie, come gli avvocati, che hanno andamenti strutturalmente anomali.
M. Sen. – Il Corriere della Sera – 21 ottobre 2016