Il servizio sanitario nazionale è di nuovo all’attenzione dei politici e del pubblico perché si prospettano nuovi tagli. Visto che ne sono già stati real izzati un certo numero, è difficile sapere cosa rimane di quei 106 miliardi di euro che in origine ne costituivano la dote del passato. Si possono sostenere altri tagli senza compromettere l’esistenza stessa di questo prezioso e insostituibile servizio?
È veramente necessario agire ancora sulla sanità? Dietro questo accanimento non si nascondono altri programmi per cambiare il sistema sanità? Le risposte non sono facili da fornire, ma ci si può provare. Non si possono certamente accettare altri tagli trasversali, che si traducono in percentuali o in cifre fisse. Perché ciò determina solo confusione, contribuisce ad aumentare la eterogeneità degli interventi regionali e rischia di creare l’abolizione di servizi o di trattamenti che fanno parte dei livelli essenziali di assistenza, i cosiddetti Lea. Si possono invece realizzare risparmi mirati attraverso la puntuale identificazione di servizi non essenziali o di sprechi.
Il governo deve fare uno sforzo per indicare le voci che devono essere tagliate o ridotte anche se occorre non interferire con la suscettibilità delle Regioni depositarie della gestione della sanità. Come? Ad esempio determinando l’abolizione di tutti i punti nascita dove non si effettuano almeno mille nascite per anno, agendo sul mercato dei dispositivi medici, un mercato di molti miliardi di euro dove, a differenza del settore farmaci, esiste la più completa anarchia.
È tempo di razionalizzare questo settore realizzando un sistema di valutazione formale per produrre un prontuario di prodotti validi da cui partire per eseguire gli acquisti che sono necessari con molta parsimonia. Non dimentichiamo che siamo il Paese che in Europa ha il maggior numero di apparecchiature costose (ad esempio Pet, risonanze nucleari magnetiche, acceleratori e così via) relativamente poco utilizzate e che richiedono molto personale e costi elevati di gestione. Si continuano a pagare spese per cure termali senza avere alcuna evidenza di efficacia. In alcune Regioni si rimborsano prodotti omeopatici ed altri tipi di medicina «alternativa».
Anche nel campo dei farmaci vi è ancora spazio per risparmi. Basta obbligare a prescrivere con i nomi generici e soprattutto provvedere dopo vent’anni a rivedere il Prontuario terapeutico nazionale, facendo molti tagli a costosissimi farmaci antitumorali che aggiungono molto poco a quanto abbiamo a disposizione. Infime si possono ottenere risparmi sul lungo termine rivedendo il ruolo degli ospedali dove a un costo sproporzionato continuano a soggiornare pazienti cronici per mancanza di altre strutture. Perciò, se è necessario, tagli sì ma con precise indicazioni e giustificazioni. La sanità non può essere il solo settore da cui trarre risorse.
I cittadini sarebbero molto più convinti se vedessero anche altri tagli, più volte annunciati ma sempre annacquati o addirittura mai realizzati. Non bisogna comunque dimenticare che una forma importante di tagli che è stata accettata dagli italiani senza troppo protestare è rappresentata dai vari ticket che gravano sulle analisi, sul pronto soccorso, sulle prescrizioni, per non dimenticare le spese che vengono sostenute date le liste d’attesa per ricorrere all’intramoenia. Perché il governo non ha il coraggio di cancellare questa pratica e il relativo balzello per i cittadini? Si abolirebbe una forma di discriminazione perché all’intramoenia non possono certo accedere le classi meno abbienti e si dimostrerebbe che i tagli non sono sempre a carico dei «solite».
Un’altra preoccupazione è rappresentata dal sospetto, si spera completamente infondato, che tagli e ticket preludano all’ineluttabile conseguenza che per far fronte alle crescenti spese sanitarie i cittadini siano obbligati a ricorrere a forme assicurative. Sarebbe la fine dell’attuale concetto di Servizio sanitario nazionale. Si deve invece mantenere e sostenere purché i tagli vengano fatti su tutto ciò che non è validato dall’evidenza scientifica.
Silvio Garattini – 29 ottobre 2012