Corriere.it. La mina «variante». Quella che preoccupa tutti e costringe anche la politica a ripensare l’agenda delle riaperture. Ma a che punto siamo? «Io ho il reparto invaso da nuove varianti e questo a breve potrebbe portarci problemi più seri», attacca Massimo Galli, direttore del reparto di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano. La sua dichiarazione (anche stavolta) fa rumore.
Intanto, per l’uso del plurale: «Non ho ancora dati precisi, ma possiamo ipotizzare si tratti della variante inglese. Per ora non abbiamo evidenza di altri ceppi», spiega.
Galli si riferisce ad alcuni studi in corso nel laboratorio universitario del Sacco. «Da tempo studiamo le sequenze dei nostri ricoverati: quello che posso dire che dei 20 letti che seguo direttamente almeno uno su tre è stato contagiato da una variante», aggiunge il professore. Gli studi di laboratorio hanno tempi lunghi. Ma il metodo del gene espresso consente di anticipare alcune risposte. L’ospedale Sacco confina con il comune di Bollate, colpito nelle scorse settimane da un grosso focolaio in tre scuole del Comune: «Ma la sensazione ormai netta è che queste siano le proporzioni che si vedono nel resto della città, ma anche in tutta Italia — continua Galli —. Sullo studio delle varianti noi lavoriamo da aprile, ma in pochi ancora lo fanno. Da più di un mese che la variante inglese sta soppiantando la nostra versione del virus. Dobbiamo incentivare lo studio delle mutazioni del virus e trarne le conseguenze a livello nazionale. Anche Boris Johnson in Inghilterra è stato costretto a rivedere i suoi piani».
Ma la variante inglese è più pericolosa e virulenta di quella «italiana»? «In questa fase — dice Galli —, serve tenere i nervi saldi e fare le scelte giuste: non c’è nessun motivo di crederlo, semplicemente è più contagiosa e quindi se genera grandi numeri sarà più alta la percentuale anche di malati gravi»