Ci mancava il “giallo del malleolo” a complicare la già complicata inchiesta sul Mose. L’articolazione in questione è quella di Giancarlo Galan, da due giorni e due notti rinchiuso nel carcere di Opera con l’accusa di corruzione. Il 5 luglio l’ex governatore del Veneto si è fatto male mentre potava una rosa nel giardino della sua villa di Cinto Euganeo.
«Mi sono fratturato il malleolo cadendo su me stesso come un vecchietto» raccontò a Repubblica. Perché dunque ieri i finanzieri del Nucleo tributario sono andati a sequestrare tutte le sue cartelle cliniche negli ospedali di Este e di Padova? E perché la procura veneziana vuole sentire, in qualità di testimoni non indagati, i dieci dottori che lo hanno visitato prima e durante la degenza, conclusasi poche ore prima dell’arresto?
Su quella frattura gli investigatori hanno qualche dubbio. Vogliono capire se è recente, come conferma Sergio Candiotto, il primario di Ortopedia del Sant’Antonio di Padova cui il deputato di Forza Italia si è rivolto dopo l’incidente domestico, oppure se è roba vecchia, saltata fuori in qualche modo per aggravare ad arte il quadro clinico di Galan, oggettivamente già pesante di suo, e rafforzare la richiesta di rinviare il voto in Aula. Per questo le due radiografie fattegli il 5 e il 9 luglio sono state acquisite e saranno sottoposte a verifica. Ma il dubbio si estende anche alla successiva degenza di dieci giorni ad Este, dal 12 al 22 luglio, terminata con una dimissione definita dallo stesso deputato «inaspettata ». Delle due l’una, ragionano in procura. O Galan stava davvero molto male, e allora è ragionevole pensare che il ricovero avrebbe dovuto continuare. Oppure non era poi così urgente. Del resto Candiotti ammette sì che «di frattura recente si tratta, compatibile con il peso del paziente», ma aggiunge pure che «il ricovero non era necessario ». E il pm Carlo Nordio sottolinea che dalla lettera di dimissioni «emerge una patologia perfettamente compatibile con un trasporto in Parlamento per difendersi».
Da qui bisogna partire, per afferrare un capo del filo che hanno intravisto gli investigatori. Da quella lettera di dimissioni, firmata alle 9.40 di martedì da Lucia Leone, primario di medicina interna. «Il paziente presenta un quadro clinico stabilizzato, non corre rischi e può continuare la cura nel proprio domicilio ». E però sulle scrivanie dei pm in quello stesso momento ci sono almeno tre pareri medici e una cinquantina di pagine di referti, inviati dagli avvocati difensori anche alla presidente della Camera Boldrini, che rac- contano qualcosa di più grave. Il primo è di Gaetano Crepaldi, professore emerito dell’Università di Padova, il quale in un certificato del 14 giugno scrive che «l’insieme di patologie elencate (diabete, miocardiopatia ipertensiva, obesità) può richiedere interventi urgenti, da realizzare nell’arco di pochi minuti». Come a dire che è bene che Galan non stia molto lontano da una struttura ospedaliera.
Poi c’è il certificato di Paolo Moreni, altro luminare padovano, che l’11 luglio, dopo che la gamba sinistra di Galan è già stata semi-ingessata, e lui sottoposto a due lastre, una risonanza magnetica e una visita dall’angiologo, scrive: « «E’ affetto da trombosi venosa profonda che lo espone al rischio di trombo- embolia. Ritengo che (dette) necessità diagnostico terapeutiche, concrete e sussistenti, non siano realizzabili in un regime carcerario».
Poi però la dimissione. «Tutto regolare — si affretta a spiegare Maurizio Agnoletto, direttore sanitario della Usl 17 di Padova — i suoi valori erano tornati nella norma, dunque l’abbiamo mandato a casa. E il ricovero è stato deciso dal pronto soccorso, il 12 luglio, per questioni cardiovascolari ». Anche il legale del deputato, Antonio Franchini, si dice tranquillo: «I certificati sono firmati dai più grandi luminari italiani». Anche sulla base di queste carte, hanno chiesto la scarcerazione al gip di Milano, che ascolterà Galan venerdì per l’interrogatorio di Garanzia.
Repubblica – 24 luglio 2014