Paolo Russo. Da un lato uno spreco che rischia di mandare in bancarotta il nostro servizio sanitario nazionale, con prezzi da 100mila euro a ciclo terapeutico spuntati da farmaci che giustificano solo il 16% dei loro costi stratosferici con l’effettivo miglioramento dei pazienti. Dall’altro un pubblico che non riuscendo a contenere le liste d’attesa spinge sempre più Italiani a provvedere di tasca propria.
Anche perché solo il 15% dei 2,5 milioni di non autosufficienti ha garantiti i servizi pubblici che gli spettano e il 45% delle visite specialistiche è oramai a pagamento. Pur se va detto che nonostante le accuse di inefficienze e sprechi la bistrattata sanità pubblica tiene, come dimostra il 68,5% dei casi di miglioramento delle performance sanitarie valutate su 92 indicatori.
E’ “Lo stato di salute della sanità italiana” diagnosticato ieri a Roma in un forum ed esperti del settore organizzato da Fiaso, la Federazione di Asl e ospedali, in occasione della sua Assemblea nazionale.
«Il cuore della questione farmaci è che nuovo non è sinonimo di innovativo», sostiene Giuseppe Traversa, dell’Istituto superiore di Sanità. Affermazione supportata dai dati della prestigiosa rivista Jama oncology, che mostrano come il prezzo dei costosissimi nuovi farmaci oncologici sarebbe solo per un 13-16% giustificato dai miglioramenti in termini di salute. Per uscirne gli esperti propongono di legare i prezzi agli aumenti di aspettativa di vita acquisiti con le nuove terapie o, come stanno facendo molti Stati Usa, correlarli agli effettivi investimenti in ricerca. Intanto il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin si dice pronta a sostenere nel Governo la proposta del ticket di un cent a sigaretta per finanziare l’acquisto dei nuovi medicinali oncologici. «Fermo restando – aggiunge- che siamo pronti a pagare l’innovazione vera, non quella finta».
Intanto anche la crescita della spesa sanitaria privata, arrivata a quota 33 miliardi, sembra inarrestabile. Con servizi pubblici garantiti solo al 15% dei 2,5 milioni di non autosufficienti. Percentuale che per l’odontoiatria scende al 5%. Mentre il 45% delle visite ambulatoriale è pagata di tasca propria dagli assistiti, così come il 40% delle prestazioni riabilitative e il 70% delle visite ginecologiche.
E se i cittadini spendono di più lo Stato italiano investe sempre meno in sanità rispetto ai big europei. Tant’è che le proiezioni dell’economista Federico Spandonaro, Presidente del Crea sanità, dicono che la forbice è destinata ad allargarsi nei prossimi due anni, fermandosi a 2.200 euro pro capite in Italia contro i circa 3.700 dell’Ue a 14 Stati. Con un razionamento che per i farmaci è già iniziato, dato che il 32% delle nuove molecole registrate dall’Agenzia europea del farmaco da noi non è mai arrivato. Questo mentre i numeri presentati dal presidente di Fiaso, Francesco Ripa di Meana, dicono che il tasso di obsolescenza tecnologica dei nostri ospedali è passato dal 70 all’80% in quattro anni. «Come manager siamo stati in prima fila nel le raccoglier la sfida di fare meglio con meno, ma ora – conclude- è necessario cambiare passo, investendo in innovazione e nell’autonomia gestionale delle Aziende sanitarie».
La Stampa – 7 luglio 2016